Sauvignon connection, spuntano altri 20 nomi di produttori
UDINE. «Allora, qualcuno... poi ti dico pure chi me lo ha detto come vieni giù... ehhhh... ti definisce “mister bustina”!». La voce è quella di Orlando Galasso, direttore della cantina di Ortona, in provincia di Chieti. Sta conversando al telefono con Ramon Persello, il chimico enologo di Attimis che, da oltre un anno, lavora come consulente anche per la sua cooperativa. È il 3 settembre del 2015. Il giorno dopo, i carabinieri del Nas di Udine e il personale dell’Ufficio repressione frodi avrebbero bussato alla porta di Persello per la prima di una serie di perquisizioni condotte nell’ambito dell’inchiesta sulla cosiddetta “Sauvignon connection”. «Eh, per forza! In Friuli è dieci anni che mi chiamano così», gli aveva risposto Ramon. Aggiungendo, con un presentimento quanto mai fondato: «Il problema è che io potrei anche essere indagato da un momento all’altro». E mentre lo diceva, gli investigatori già lo ascoltavano.
Le fasi dell’inchiesta
A un anno dall’avvio delle indagini e dopo lo stralcio delle posizioni trasferite per competenza territoriale ad altre Procure, il puzzle investigativo pare ormai a un passo dalla chiusura. Intanto, a svelare buona parte degli elementi raccolti in mesi di intercettazioni e di certosina analisi della montagna di documenti e campioni di mosto prelevati tra le abitazioni dell’enologo e di sua moglie Lisa Coletto e le cantine dei Colli Orientali e del Collio, sono le carte che i magistrati hanno di volta in volta depositato in tribunale per chiedere e ottenere sequestri e proroghe d’indagine. Ultimo in ordine di tempo, il provvedimento con cui il gip di Chieti, Antonella Redaelli, all’inizio del mese aveva disposto i sigilli su 778 ettolitri di vino nella cantina Ortona, appunto. Ebbene, scorrendo la quarantina di pagine dell’ordinanza non sfuggono particolari che, con ogni probabilità, il procuratore capo di Udine, Antonio De Nicolo, già nella conferenza stampa del 14 settembre scorso, considerava «indizi serissimi di reità», e che nel frattempo avrebbero spinto più di qualche indagato a valutare l’opportunità di chiudere la vicenda con il ricorso a riti alternativi (il patteggiamento).
Le accuse
Le ipotesi di reato restano quelle di sempre: frode nell’esercizio del commercio e vendita di sostanze alimentari non genuine. Lui, l’enologo e genio della chimica, è accusato di avere realizzato e venduto un “preparato” - per nulla pericoloso per la salute umana, ma non previsto dal disciplinare di produzione dei vini Doc - in grado di esaltare gli aromi dei vini, e loro, i produttori e colleghi enologi, di averlo adoperato per migliorare la resa nelle rispettive botti e, i più in gamba, anche per aggiudicarsi prestigiosi premi nazionali e internazionali. L’inchiesta, insomma, ruota attorno al presunto impiego, quantomeno dal 2006, di sistemi di sofisticazione con utilizzo di aromi, sia naturali sia sintetici, che nella pratica enologica non sono in alcun modo ammessi. A danno, va da sè, di un numero potenzialmente illimitato di consumatori.
Il verdetto dei periti
L’esito delle analisi dei campioni di mosto, svolte nella forma dell’incidente probatorio, aveva permesso di accertare come i preparati di Persello «non fossero finalizzati ad avviare la fermentazione nei mosti in cui sarebbero stati immessi, non possedendo cellule di lievito integre, ma avessero l’unico scopo di modificarne le caratteristiche aromatiche». A domanda del pm, i periti avevano risposto come «del tutto ragionevole pensare che ci fosse stata una sintesi di questi precursori» e che «sicuramente anche aggiunte minime di tali prodotti hanno un indubbio impatto aromatico». Il passo successivo, ossia il collegamento tra quei preparati e le aziende sottoposte a indagine, sarebbe arrivato dall’esame dei tanti quaderni e dell’enorme quantità di schede intestate ad altrettante aziende trovati nella casa-laboratorio dei coniugi Persello. Tutto scritto, comprese le direttive al personale di Giambattista Mastropiero, enologo a Ortona, a riprova - a parere del gip - dell’«assoluta presunzione di impunità» delle loro condotte.
La soluzione Enzi (I)
Un appunto tra i tanti sembra rivelare la cessione di un certo quantitativo di una soluzione che Persello indica con il nome di “Enzi (I)” per 200 ettolitri di vino. Secondo gli investigatori sarebbe stata adoperata per sofisticare il vino «atteso che il suo contenuto del precursore dell’aroma 4mmp (uno degli aromi tipici dei vini), ossia il Cys-4mmp, è milioni di volte superiore a quello naturalmente presente nei vini». Agenda alla mano, l’anno successivo il quantitativo di prodotto «da sofisticare» era stato quadruplicato. Ed è lo stesso manoscritto a consegnare agli inquirenti un «piano di consegne» a favore di più aziende per i mesi di agosto e settembre 2015. Ad analoghe conclusioni porterebbero anche le foto conservate in alcuni file del personal computer e dell’hard disk sequestrati a Persello. Si parla di «arricchimenti» nel mosto e di «aggiunte di amminoacidi» nella fase della fermentazione di Pecorino, Trebbiano e Chardonnay. «Chiara – in tesi accusatoria –, la finalità di modificare le caratteristiche potenzialità aromatiche naturali dei vini». Altrettanto dicasi per il sale rosa dell’Himalaya, indicato con la sigla N.C., e con il saccarosio, alias S.R.
I produttori nei guai
Il secondo round di perquisizioni risale al 22 ottobre 2015. A Ortona, l’avviso di garanzia viene notificato a Lucio Di Bartolomeo, presidente della cantina, e a Mastropierro. Nell’ordinanza sono riportati i passaggi delle intercettazioni telefoniche e della mail considerate più significative (si veda tabella). Il 15 luglio 2015, per esempio, Persello allega il documento “Chardonnay esteri” in cui menziona l’aggiunta di amminoacidi ramificati Bcaa, uguali a quelli citati in una serie di precedenti messaggi Telegram. Nel procedimento, all’epoca, figuravano già indagati Claudio Buiatti, di Buttrio, Stefano Traverso, di Prepotto, e Thomas Kitzmuller, di Brazzano, Roberto Snidarcig (“Tiare”, Dolegna del Collio), Adriano Gigante (Corno di Rosazzo), Valerio Marinig (Prepotto), Paolo Rodaro (Spessa di Cividale), Pierpaolo Pecorari (San Lorenzo isontino), Michele Luisa (Corona), Anna Muzzolini (“Iole”, Prepotto), Roberto Folla (“Cortona”, di Villa Vicentina), Luca Caporale (“Venchiarezza”, di Cividale), Federico Stefano Stanig (Prepotto), Andrea Visintin (“Magnas”, di Cormons), Cristian Ballaminut (Terzo d’Aquileia), Cristian Specogna (Corno di Rosazzo), Gianni Sgubin (Dolegna), Filippo Butussi (Corno di Rosazzo), Remo De Luca (Mozzagrogna, provincia di Chieti) e Valentino Cirulli (Ficulle, provincia di Terni).
E quelli aggiunti dopo
Lo scorso gennaio, l’inchiesta era stata estesa a un nuovo gruppo di produttori ed enologi. Per tutti, in luglio, il pm Marco Panzeri ha chiesto la proroga delle indagini e anche sui loro nomi è venuto meno il segreto istruttorio. Ecco l’elenco: Maurizio Arzenton, di Attimis, Stefano Bernardis, di Dolegna, Bruno Bertossi, di Faedis, Nicola Bodigoi, di Prepotto, Franco Clementin, di Terzo d’Aquileia, Giovanni Foffani, di Trivignano Udinese, Mara e Paolo Giavitto, di Faedis, e l’omonima società agricola, Andrea Magnan, di Corno di Rosazzo, Milano, Denis e Mitja Miklus, di San Floriano del Collio, con la loro azienda, Franco Pizzulin, di Prepotto, Michele Specogna, di Premariacco, e la società Toblar di Ramandolo, Denis e Patrick Sturm, di Cormons, con la loro azienda a Zegla, e Oliviero, Palmira e Cinzia Visintini, di Corno di Rosazzo, con la loro azienda.
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