Sarajevo: presto chiuso il campo-inferno di Vučjak ma i migranti si oppongono

Annunciato il trasferimento in una località nel cuore del Paese. I 600 presenti vogliono però restare nel sito in cui si trovano: è vicino al confine con la Croazia
epa08043985 Migrants warm themselves by the fire in front their tent during a snowy winter day at the Vucjak refugee camp outside Bihac, northwestern Bosnia and Herzegovina, 04 December 2019. Hundreds of migrants remain at the camp even after international officials called for it to be shut down due to lack of facilities. EPA/FEHIM DEMIR
epa08043985 Migrants warm themselves by the fire in front their tent during a snowy winter day at the Vucjak refugee camp outside Bihac, northwestern Bosnia and Herzegovina, 04 December 2019. Hundreds of migrants remain at the camp even after international officials called for it to be shut down due to lack of facilities. EPA/FEHIM DEMIR

BELGRADO Ci sono voluti mesi e mesi di appelli internazionali lasciati cadere nel vuoto, di allarmi sempre più drammatici, di uno sciopero della fame deciso dagli stessi migranti. Per smuovere le coscienze sono servite infine la neve che ha fatto collassare le tende, le temperature sottozero, e immagini che hanno fatto il giro del mondo di disperati con addosso vestiti estivi e sandali ai piedi, nel fango e nel ghiaccio.

Ma alla fine, seppur con ritardo, la Bosnia si muove. Si muove per chiudere il terribile campo profughi di Vučjak, nei pressi di Bihać, nel nord-ovest del Paese, allestito l’estate scorsa e da subito oggetto di fortissime critiche: l’area in cui sorge infatti è una ex discarica, assediata da aree minate, senza servizi igienici né acqua corrente, priva d’assistenza, per non parlare di luce elettrica o riscaldamento. Vučjak dovrebbe rimanere una macchia sulla coscienza del Paese balcanico fino alla settimana prossima, quando inizierà il trasferimento dei migranti oggi nel campo – circa 600 – dapprima in due centri provvisori nei pressi di Sarajevo e Mostar, e in seguito in una caserma dismessa a Blazuj, località non distante dalla capitale.

Così è stato deciso ieri mattina in un vertice tra il ministro bosniaco della Sicurezza, Dragan Mektić, e Mustafa Ruznić, governatore del Cantone Unsko-Sanski, quello che ha come capoluogo proprio Bihać. «Lavoriamo intensamente per predisporre la caserma, che sarà pronta molto presto», ha assicurato Mekti, precisando che in un futuro non lontano a Blazuj saranno ospitati sia i derelitti di Vučjak – il loro trasferimento inizierà lunedì - sia altri migranti e profughi oggi “dispersi” in altre località bosniache, tra cui Velika Kladuša e la stessa Bihać.

Non solo: di Vučjak non rimarrà niente, ha anticipato Mektić, specificando che le autorità rimuoveranno tutte le tende e bonificheranno il terreno in modo che nessuno vi possa tornare. «Entro la fine della prossima settimana il campo di Vučjak sarà chiuso», per sempre, ha promesso il ministro.

Ma c’è un problema: anche se Vučjak è un inferno in terra, molti dei migranti che vi sopravvivono non hanno intenzione di andarsene, «vogliono solo entrare nella Ue», ovvero nella vicina Croazia, hanno avvertito i media locali. E il campo è a un tiro di schioppo dal confine, mentre Blazuj - dove andranno trasferiti - è nel cuore del Paese, lontanissimo dalla frontiera. I migranti di Vučjak nel frattempo continuano a rifiutare cibo e acqua offerti dalla locale Croce Rossa, una forma di protesta iniziata quattro giorni fa per denunciare le condizioni di vita nel campo, ma soprattutto per chiedere che «siano aperte le frontiere Ue» e sia permesso loro di proseguire il viaggio verso l’Europa più ricca, come si evince dai cartelli affissi dai profughi.

E visto che la tensione a Vučjak è ormai alle stelle – con scaramucce tra polizia e migranti registrate nei giorni scorsi – non è esclusa una escalation dei disordini, a partire proprio da lunedì. Ma la chiusura del campo è l’unica via, ha ribadito ieri la commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, la bosniaca Dunja Mijatović, che aveva definito Vučjak una «vergogna» per Sarajevo. E che ieri ha chiesto nuovamente «l’immediata chiusura» di un campo che «non avrebbe mai dovuto essere aperto». —


 

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