Sarajevo moriva e il mondo stava a guardare

La testimonianza di Azra Nuhefendic, giornalista e scrittrice bosniaca sul dramma che costò quasi un milione di morti
19 Jan 1996, Sarajevo, Bosnia and Herzegovina --- Daily Life in Sarajevo After the Ceasefire --- Image by © Antoine Gyori/Sygma/Corbis
19 Jan 1996, Sarajevo, Bosnia and Herzegovina --- Daily Life in Sarajevo After the Ceasefire --- Image by © Antoine Gyori/Sygma/Corbis

Sono 972.073 i morti accertati in una guerra avvenuta solo 22 anni fa a circa 420 chilometri da Trieste che, come spiega Azra Nuhefendic, giornalista e scrittrice di Sarajevo, ha avuto grande rilievo in questo conflitto: «Durante la guerra Trieste era molto “coinvolta” nel senso che fu la città per la quale passavano i profughi, i volontari italiani (che hanno svolto un lavoro importantissimo) e i primi aiuti umanitari. Ma ebbe rilievo anche per il traffico d'armi. Era la città dove si incontravano e lavoravano le spie. Inoltre “Il Piccolo” di Trieste pubblicava quello che non si trovava in altri giornali italiani: questo fu importantissimo per far luce sulla guerra in Bosnia».

È un conflitto di cui si parla raramente o per caso, ma che ha lasciato una cicatrice indelebile sulle vittime della Bosnia e Erzegovina. La giornalista giustifica questo silenzio: «Sono scoppiati altri conflitti e ci sono state altre emergenze: l'11 settembre, le guerre in Iraq, in Afghanistan, in Libia e in Siria. Per questo la guerra in Bosnia Erzegovina non fa notizia».

Anche se la rivolta sociale scoppiata agli inizi di febbraio ha riportato la Bosnia Erzegovina agli onori delle cronache.

«Sarajevo fu assediata per più di 1345 giorni e fu lasciata senz’acqua, riscaldamento o cibo – continua -. Veniva mediamente colpita con 300 bombe ogni giorno, senza contare i cecchini. Solo il 22 luglio 1993 fu colpita da 3300 ordigni» racconta Azra, che ha scritto un bel libro sul suo Paese, “Le stelle che stanno giù” pubblicato dall’editrice triestina Beit.

Tutto comincia all'inizio degli anni '90 quando le truppe serbo-bosniache, appoggiate dall'esercito federale jugoslavo, occupano più della metà della Bosnia Erzegovina con il proposito di espellere i croati e i musulmani dal territorio più multietnico della ex Jugoslavia. Infatti in Bosnia nessuno dei tre gruppi (serbi 31% croati 17% bosniaci 44%) si può considerare minoranza e fino a quel momento le etnie convivevano pacificamente. Dopo i tre anni di guerra tra esse si è diffuso un sentimento di odio reciproco, palpabile nella vita di ogni giorno. Oggi i quartieri sono monoetnici e la convivenza sembra impossibile. I criminali di guerra (la maggioranza dei quali non è mai stata sottoposta ad un processo) vivono accanto alle vittime che hanno la sensazione di non aver ricevuto la giustizia che meritavano. Anzi, Azra puntualizza: «In Bosnia i criminali di guerra si considerano, ancora oggi, eroi nazionali. Molti politici che hanno ideato, programmato e fomentato la guerra sono stati processati e condannati. La politica bellica, del nazionalismo e separatismo, però, è ancora viva. È come se, dopo la seconda guerra mondiale, il partito di Hitler, nazional-socialista, andasse avanti con la propria politica e prassi contro gli ebrei».

Tra le tecniche adottate dai carnefici va riservato un posto speciale allo stupro. Non è una novità che la violenza sessuale sia utilizzata in tempi di guerra ma, negli anni '90, questa atrocità viene “giustificata” da scopi etnici. Si volevano umiliare, terrorizzare e degradare i nemici costringendoli, in questo modo, ad andarsene dalla terra, che i serbi consideravano di loro proprietà. In Bosnia gli stupri non sono stati episodi individuali: c'è un'ipotesi che fosse una vero e proprio piano politico e un'arma di guerra. Racconta Azra Nuhefendic: «Gli stupri accompagnano tutte le guerre fin dall’antichità. Per la prima volta, però, è stato accertato che in Bosnia gli stupri di massa (tra le 30 mila e le 50 mila vittime contando donne, ragazze, bambini e uomini) furono un crimine ben pianificato e organizzato per far scappare i non serbi e per non farli tornare mai più. Infatti i serbi e i croati volevano una terra etnicamente pulita per creare la grande Serbia o la grande Croazia. Le Nazioni Unite hanno dunque definito gli stupri come crimini di guerra e hanno condannato i principali stupratori.

Un'altra azione di pulizia etnica è accaduta a Srebrenica dove i serbi hanno massacrato tutta la popolazione maschile adulta (almeno ottomila uomini). Ma cosa faceva il resto del mondo mentre queste atrocità avvenivano a circa cinque ore di auto da Trieste?

«L’Occidente fu colto di sorpresa da una guerra sul proprio territorio. In Bosnia succedeva quello che per cinquant’anni ci si era ripromesso non sarebbe più accaduto: campi di concentramento, pulizia etnica, stupri di massa, città assediate, crimini di guerra contro l’umanità. L'Europa era confusa e divisa (come durante la seconda guerra mondiale) non era, infatti, d’accordo su cosa fare o come intervenire. La guerra era trasmessa in diretta televisiva (nessun'altra guerra fu trasmessa in questo modo), e nessuno poteva dire “non sapevamo” come durante la seconda guerra mondiale. Fu la più seguita nella storia dei media! Gli americani ripetevano che si trattava di un problema che l'Unione europea doveva risolvere. I politici occidentali dicevano (e i giornalisti ripetevano) che “non si sa cosa sta succedendo. Si tratta della gente che si odia da sempre, delle tribù bellicose. Tutti sono colpevoli”. I politici europei inventavano scuse per tranquillizzare la gente comune che era sconvolta e chiedeva azioni per fermare i crimini», spiega Azra Nuhefendic.

Appena dopo tre anni si è arrivati alla pace di Dayton del 1995. Una pace che ha lasciato la Bosnia Erzegovina in una situazione drammatica. È il paese più povero in Europa, con una disoccupazione di circa il cinquanta per cento. È al primo posto per la corruzione con una situazione economica e politica disastrosa. È divisa per etnie e i politici non si mettono d’accordo su nulla.

Francesca Valente

Classe II A

Liceo classico

F. Petrarca

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