Sarajevo, la grande attesa per Francesco

Oggi la visita del Papa nel segno della pacificazione. Febbrili i preparativi, discreta ma imponente la macchina della sicurezza
Poster in attesa di Francesco lungo le vie di Sarajevo (foto Reuters)
Poster in attesa di Francesco lungo le vie di Sarajevo (foto Reuters)

INVIATO A SARAJEVO. Il puzzo della guerra è svanito, resta l'odore forte della povertà. È una Sarajevo ancora smarrita quella che oggi accoglierà Papa Francesco, ma fortemente motivata a spalancare le braccia al titolare del trono di Pietro. Gioia e orgoglio sono i sentimenti che pervadono gli abitanti della capitale della Bosnia-Erzegovina, "saralje" come si definiscono fieri. Gioia e orgoglio di avere il Papa, un lampo di speranza nella quotidianità intrisa di miseria, di corruzione di politica intesa solo come spartizione di potere e clientelismo in un Paese che non decolla. Ma la piccola Sarajevo del resto è abituata a veder scorrere lungo il fiume Miljacka la "grande storia".

Papa Francesco, dopo l'Albania, torna in un Paese musulmano mentre il califfato dell'Is lancia il suo delirante messaggio di vendetta a favore dei fratelli musulmani dei Balcani. Torna, in un momento in cui l'Islam radicale e jihadista è in guerra con l'Occidente, sputando veleno addosso ai "crociati". E il leader indiscusso di quei "crociati" viene qui a Sarajevo, per promuovere il dialogo tra le religioni (cattolica, ebraica, ortodossa e islamica) in un Paese dell'Islam moderato, per gridare ad alta voce che il dialogo può ancora vincere sulla violenza e sull'odio. "Mir vama", "la pace sia con voi" è il motto che accompagna la visita pontificia, quella pace il cui valore Sarajevo conosce molto bene dopo i suoi 12mila morti della guerra seguita alla dissoluzione della Jugoslavia. Le ferite si vedono ancora lungo le strade, su quei palazzi dove le raffiche di mitra sono ancora lì, quasi un monito per le nuove generazioni, in quei parchi cittadini dove al posto delle panchine si ergono le lapidi dei morti di quel maledetto assedio.

Vecchi tram corrono ringhiando lungo quello che fu il viale dei cecchini oggi discretamente addobbato a festa con le bandierine della Bosnia-Erzegovina e del Vaticano. Nessuna ostentazione, solo la sincera volontà di ascoltare le parole del Papa per scoprire in esse la propria appartenenza a un continente, a una cultura, che declina oramai i tempi e i verbi dell'Europa. Così come discreta è l'imponente macchina della sicurezza. Poliziotti spuntano ad ogni angolo di strada, le radioline gracchianti, lo sguardo teso. I servizi segreti bosniaci hanno lavorato sodo e tutte le informazioni giungono in tempo reale alla centrale operativa del ministero degli Interni. Nei giorni scorsi messaggi di minaccia al Papa sono apparsi su alcuni siti web immediatamente oscurati.

Non saranno 48 ore facili per la comunità wahabita che si annida a Osve, a qualche centinaio di chilometri dia Sarajevo, e che funge da campo di addestramento per i miliziani jihadisti inviati poi al fronte, soprattutto quello siriano. Secondo alcune fonti ieri sera sarebbe scattata una segretissima operazione di polizia che avrebbe portato al fermo di tutti gli esponenti del radicalismo islamico, un fermo che si protrarrà per 48 ore appunto.

«In Bosnia - assicura fra’ Tomislav che cammina tra le vie della Bascarsjia - la visita del Papa è stata accolta bene dal governo federale in quanto è stata vista come un ulteriore gesto del Vaticano e della Chiesa cattolica in generale a sostenere e aiutare il processo di pace, del dialogo interreligioso e inoltre viene intesa come un forte segnale e sostegno anche politico per far entrare quanto prima la Bosnia-Erzegovina nell'Unione europea». Lo salutano tutti fra’ Tomislav, ortodossi, musulmani ma anche gli atei, cammina sgranando continuamente il suo rosario di legno che tiene in tasca.

Ma qui c'è anche molta attesa, soprattutto da parte dei pellegrini croati (saranno in 20mila oggi alla messa del Papa), per sapere se il Santo Padre esternerà sulle apparizioni della Madonna a Medjugorje. A gelare gli animi però ci pensa il portavoce vaticano padre Federico Lombardi. «Io credo che non ci sia da aspettarselo». Su Medjugorje la commissione incaricata e presieduta dal cardinale Ruini ha consegnato il suo contributo alla congregazione per la Dottrina della Fede che continua ora a svolgere le sue considerazioni. «Ma non ho nessuna previsione di tempi e di modi specifici della conclusione», aggiunge padre Lombardi.

Fra’ Tomislav intanto sgattaiola quasi furtivo dentro la cattedrale dove fervono i lavori per accogliere il Papa. Intorno Sarajevo continua a muoversi senza sosta, quasi alla ricerca di quell'anima che le fu strappata dalle granate serbe che piovevano da Pale. I fantasmi girano tra strade e viuzze, sono infastiditi per l'arrivo oggi di quel Papa "esorcista".

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo