Sarajevo ancora lacerata aspetta papa Francesco «messaggero di pace»
TRIESTE. «È vero che il tuo popolo ha sofferto molto?». Papa Francesco si è rivolto con questa domanda al francescano fra Stjepan Brcina baciandogli le mani appena consacrate, evocando la sofferenza di un popolo mentre salutava il frate nativo di Drijenca in Bosnia, ordinato dal Pontefice il 26 aprile scorso, domenica del Buon Pastore, nella Basilica di San Pietro.
E domani il Pontefice sarà a Sarajevo, in quella città che Giovanni Paolo II che la visitò due volte durante il pontificato definì «la Gerusalemme d’Europa». La cui situazione il Papa conosce bene almeno da quando a Buenos Aires aveva come confessori un francescano appartenente proprio alla Provincia francescana di Erzegovina e un suo confratello gesuita proveniente dalla Croazia.
Ancora una terra di frontiera. Ancora una città-martire. Ancora una periferia dell'Europa per Papa Francesco. Con il suo viaggio di domani a Sarajevo, il terzo nel continente dopo le visite a Tirana e alle istituzioni europee di Strasburgo, il Papa giunge nel luogo-simbolo della sanguinosa guerra nell'ex-Jugoslavia, che negli anni '90 riportò l'incubo del conflitto in pieno territorio europeo, e nella città vittima del più lungo assedio della storia contemporanea, durato tre anni e mezzo fra il 1992 e il 1995, con 12 mila morti e oltre 50 mila feriti.
Una città dove le ferite della guerra sono tutt'altro che guarite, aggravate anzi dalle difficoltà economiche, e dove la convivenza nel complesso quadro etnico e religioso soffre tuttora di tensioni. Anche per questo il dialogo con le altre fedi, come fondamento per la riconciliazione e la pace, sarà uno dei temi al centro della visita di Bergoglio.
«Vengo tra coi, con l'aiuto di Dio, per confermare nella fede i fedeli cattolici, per sostenere il dialogo ecumenico e interreligioso, e soprattutto per incoraggiare la convivenza pacifica nel vostro Paese», ha detto il Pontefice nel videomessaggio diffuso due giorni fa in Bosnia-Erzegovina in preparazione del viaggio. «Mi preparo a venire tra di voi come un fratello messaggero di pace, per esprimere a tutti - a tutti! - la mia stima e la mia amicizia», ha detto ancora papa Francesco.
In Bosnia, col 40% della popolazione musulmana (e non immune alle sirene del fondamentalismo, visto che proprio la Bosnia è indicata come punto di partenza di molti militanti jihadisti), il 31% ortodossa e il 15% cattolica è chiaro che l'incontro ecumenico ed interreligioso, cui parteciperà anche il rappresentante ebraico, fissato nel pomeriggio del serratissimo programma di Sarajevo, sarà insieme alla messa della mattina nello stadio Kosevo, uno dei momenti-chiave della giornata.
E quanto la capitale bosniaca, dove tra l'altro con l'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando scoccò cent'anni fa la scintilla della Prima Guerra Mondiale, sia come pochi altri un luogo di frontiera è testimoniato anche dalla complessa struttura dello Stato, in cui tre membri, rappresentanti dei musulmano-bosniaci, dei serbo-ortodossi e dei croato-cattolici, si alternano ogni otto mesi alla presidenza della Federazione bosniaca.
Nessuna preoccupazione specifica viene manifestata per il problema della sicurezza. Bergoglio si muoverà per le vie della città, a parte i tragitti da e per l'aeroporto, sulla papamobile scoperta. Userà infatti la "jeep" bianca che di solito utilizza in piazza San Pietro. Nei suoi percorsi, tra l'altro, passerà anche nei cimiteri tuttora presenti nei parchi della città, formatisi quando nella Sarajevo assediata i morti si seppellivano nei giardini pubblici..
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