Sanità, in arrivo la classifica dei reparti migliori
«Il fine della riforma sanitaria non è ridurre i costi, è riqualificare la spesa per offrire servizi migliori. Servizi i cui esiti saranno resi pubblici per consentire al cittadino di individuare i luoghi migliori per le sue necessità». È un punto, questo, su cui la presidente Debora Serracchiani, l’assessore alla Sanità Maria Sandra Telesca e il direttore centrale Adriano Marcolongo battono a più riprese.
Gli assi portanti Serracchiani spiega così lo spirito della riforma: «La nostra sanità ha punte di eccellenza ma è stata costruita in un’altra epoca storica, gli anni Novanta. Allora la società era più giovane e la sanità metteva l’ospedale al centro del sistema». Oggi il contesto è cambiato: «Abbiamo molti posti letto per acuti e manchiamo in altri settori: fisioterapia, riabilitazione, lungo degenze. Ecco perché abbiamo dovuto riaggiornare il sistema alla società attuale. Non l’abbiamo fatto per risparmiare: sappiamo che intervenendo su acquisti, logistica, personale, arriveremo a un risparmio. Ma l’obiettivo non è quello, è riadattare il sistema i bisogni». Il primo obiettivo è la trasparenza: «Interveniamo sul sistema di comunicazione e informazione a partire dalla sanità digitale. Nei limiti della privacy, tutti i dati saranno accessibili: gli operatori renderanno trasparenti gli esiti così che il cittadino sia in grado di individuare l’ospedale migliore per la propria patologia». Secondo l’equità: «Oggi non possiamo dire che le cure siano uniformi in tutta la regione. La ridistribuzione dei servizi tra ospedali e territorio, con la creazione di ospedali di rete, hub e riconvertiti, punta a riorganizzare i servizi in modo da dare una qualità uniforme». Tutto ciò, conclude la presidente, porta un miglioramento in termini di sicurezza.
Il bilancio «L’importo complessivo della sanità è di due miliardi e duecento milioni - spiega Serracchiani -. Di questi oggi il 55% va agli ospedali e il 45% al territorio. Rovesceremo la percentuale». L’operazione si farà, precisa Marcolongo, spostando cento milioni (5%) sul territorio e investendone altri cento in prevenzione. «Nel nostro primo anno le aziende sanitarie producevano un avanzo complessivo di 24 milioni - prosegue Serracchiani -. A questi si aggiungono altri 31 che abbiamo ottenuto soltanto riqualificando le spese. In tutto più di cinquanta milioni già destinati ai servizi nel primo anno, senza neanche fare la riforma». Quando questa sarà a regime, assicura, ci saranno ampi spazi di manovra: «Siamo certi di risparmiare un bel po’ di milioni di euro da poter riassegnare alla sanità in un contesto in cui possiamo garantire più servizi dove non ci sono». Telesca aggiunge che «il nostro problema è dare tenuta economica al sistema più che ridurre la spesa: con l’aumentare delle necessità non possiamo rischiare di trovarci con ospedali vuoti che non danno i servizi di cui c’è bisogno».
Stop ai duplicati Parte rilevante della riforma è l’eliminazione dei reparti presenti in strutture unificate a livello gestionale. Come si farà? «La giunta ha preparato delle schede ospedale apposite», dice Telesca. «I processi saranno definiti dalla giunta - dice Marcolongo -. È la prima volta. In passato si è delegato troppo, cosa che forse in un contesto di maggiore floridità ci si poteva anche permettere. Ma che oggi crea una proliferazione di poteri locali che influisce su qualità e spese».
I costi standard In parallelo alla riforma corre l’introduzione dei “costi standard”: «A cosa servono? È un processo appena iniziato - spiega Telesca - in cui andiamo a vedere il costo medio delle prestazioni in regione. Ci sono differenze nei territori, rilevarle è un buon modo per capire dove e come si può risparmiare, individuando gli sprechi». Buona la situazione a Pordenone, mentre a Trieste e Udine a un buon sviluppo del territorio si affianca «un ospedale altrettanto sviluppato: segno di mancata integrazione».
Il nodo del personale È un tema su cui i sindacati hanno più volte lanciato l’allarme: «Credo che i sindacati non abbiano né torto né ragione - dice Telesca -. Sicuramente conoscono le situazioni più difficili e su queste sono nel giusto». Esistono realtà in grave difficoltà, ammette: «Bisogna riequilibrare. Il discorso è complesso: negli ultimi anni i numeri sono sempre cresciuti ma con l’innalzamento dell’età pensionabile ci sono operatori che hanno difficoltà nel compiere compiti pesanti e stressanti. Non sempre i freddi numeri rispecchiano la realtà del personale operativo ad esempio sulle 24 ore. Bisogna pensare a passaggi ad attività lavorative meno usuranti nel corso della carriera: l’integrazione tra ospedale e territorio ci consentirà di farlo».
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