San Polo, un medico e due infermiere a giudizio per falso

di Franco Femia
Nuova tegola giudiziaria per Giuseppe Di Salvo, di Staranzano, medico in servizio al San Polo di Monfalcone. Dopo la condanna a 8 mesi per lesioni colpose nei confronti di una paziente, dovrà ora rispondere anche dell’accusa di falso assieme a due infermiere dello stesso nosocomio, Adriana Deluisa, 44 anni, di Romans e Doris Ziz di Monfalcone. I tre sono stati rinviati a giudizio dal gup Paola Santangelo e il processo si terrà il prossimo 28 giugno.
Il procedimento giudiziario trae origine dalla vicenda che ha visto come protagonista Claudia Durigatti, la donna di Turriaco di 60 anni, che da sette si trova in stato vegetativo per un errore medico mentre si trovava ricoverata nel reparto di rianimazione. Durante il processo - oltre a Di Salvo erano coinvolte anche tre infermiere, tutte assolte - fu evidenziato che la cartella clinica non era stata compilata in modo dettagliata. Discrepanze emersero tra quanto testimoniato in aula dal primario del reparto di rianimazione del San Polo Sabbadini rispetto a quanto riportato dalla cartella clinica. Discrepanze che portarono alla decisione del giudice di affidare a un medico legale una superperizia.
Nel dispositivo che ha condannato Di Salvo, il giudice aveva trasmesso gli atti alla Procura della Repubblica per accertare eventuali responsabilità in merito alla compilazione delle cartelle. E il magistrato, al termine di una breve indagine, ha chiesto e ottenuto dal gup il rinvio a giudizio per falso del medico e di due infermiere, tutti difesi dall’avvocato Riccardo Cattarini. I familiari della Durigatti - il marito Paolo Pascoli è stato nominato dal gip curatore speciale della moglie - si sono costituiti parte civile e sono assistiti dall’avvocato Massimo Bruno.
L’odissea di Claudia Durigatti iniziò la notte tra il 3 e il 4 novembre 2005 quando era stata ricoverata all’ospedale monfalconese per una grave crisi d’asma. La donna sarebbe stata correttamente intubata ma, nonostante risultasse molto agitata, non sarebbero stati adottati gli accorgimenti necessari ad evitare una possibile estubazione accidentale. Come era poi avvenuto.
A causa di un conato di vomito, infatti, la donna involontariamente si era estubata e il tubo non era stato ripristinato tempestivamente impedendo una regolare ossigenazione del cervello. Quando poi lo fece, il medico non avrebbe verificato che il tubicino era occluso. Così la donna era rimasta in uno stato ipossemico per una decina di minuti; l’apporto insufficiente di ossigeno le aveva provocato una encefalopatia irreversibile che l’ha condotta a uno stato vegetativo.
Ora la Durigatti vive nella sua villetta di Turriaco, adattata alle sue esigenze. Totalmente non autosufficiente, non parla, viene alimentata con una sonda gastrica e respira attraverso un foro all’altezza della gola. Viene assistita dal marito e dalla figlia quarantenne, mentre uno specialista si occupa della fisioterapia. Una volta all’anno viene ricoverata in una clinica per sedute intensive di fisiopterapia.
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