San Giovanni, chiesa gremita per i funerali di don Maks

Visita in forma privata nella cappella mortuaria dell’ex vescovo Ravignani L’abbraccio di Boris Pahor al padre del sacerdote. L’omelia in sloveno di don Jakomin

Non c’è Giampaolo Crepaldi, a cui la comunità slovena, con un gesto probabilmente senza precedenti, di fatto vieta di celebrare la messa. Nella sua diocesi. Si vede invece Eugenio Ravignani, vescovo emerito, che privatamente va a Sant’Anna, dov’è esposta la salma, per portare le proprie condoglianze al padre. Crepaldi, l’indesiderato, ieri era comunque impegnato ad Assisi per un’assemblea della Cei. E la Curia triestina, pure messa alla porta, figura in qualche modo tra i presenti a San Giovanni con il Vicario episcopale per i fedeli della minoranza, don Anton Bedencic.

Un’ora e mezza di funerale, chiesa piena, pienissima, soprattutto di giovani ed ex allievi di don Maks. Dentro non c’è posto, tanti seguono da fuori. Celebra don Dusan Jakomin, con trenta preti interno. Italiani e della minoranza. L’organo che accompagna il coro, le lacrime, i lunghi applausi, la commozione dei giovani con i loro messaggi di ricordo a fine celebrazione. Chi si alza in piedi, in segno di rispetto e memoria. Sull’altare si possono distinguere don Mario Vatta, in fondo compare Andrea Bellavite. Tra i banchi anche Boris Pahor.

Nel corso della cerimonia, rigorosamente in sloveno, le parole “pedofilia” o “suicidio” non vengono mai citate. Davanti ecco il padre, Giorgio Suard, a fianco della cugina e della vicina di casa. Proprio lei, quella che ha avvertito il papà della morte del figlio. Perché nessuno, tra Curia e forze dell’ordine, si era preoccupato di farlo. Un dolore nel dolore. Che i ragazzi cercano di alleviare come possono, donando alla famiglia il calice con il quale don Maks diceva messa, e che hanno usato anche ieri sull’altare della chiesa. «No… non dico niente…non ce la faccio…», singhiozzerà il signor Giorgio sul sagrato di San Giovanni, mentre l’auto si allontana con la bara. È a lui che si rivolge in apertura don Jakomin, per dirgli in italiano che «nessuna parola pesante può cancellare ciò che di buono ha fatto suo figlio». Dove “pesante” stava a indicare, appunto, “pedofilia”, le “attenzioni” che il sacerdote aveva riservato a una ragazzina molti anni fa. L’omelia del sacerdote della minoranza parte con una critica ai mezzi di informazione per poi passare ai giovani «che hanno saputo perdonare e non giudicare». E che «non hanno condannato, ma hanno saputo trovare parole migliori. Da loro dovremmo prendere l’esempio». A fine messa, in strada, solo silenzio. L’unica voce che si distingue è quella del padre che saluta uno a uno chi gli si avvicina per le condoglianze: i fedeli di Santa Croce, Contovello, Prosecco e San Dorligo. Tutte le parrocchie dove Maks era stato in servizio dal giorno dell’ordinazione sacerdotale. Giorgio, sommessamente, in lacrime, risponde ringraziando uno a uno. Poco più in là don Francesco Voncina, l’ex Vicario episcopale per i fedeli della minoranza, che scambia qualche parola con i giornalisti. «Don Ettore Malnati – osserva – dice che su di me ci sarà un’inchiesta? Beh, la facciano. Ma perché ne parla al Piccolo e non a me? Comunque – riprende – meglio che oggi non ci sia stato il vescovo Crepaldi e nemmeno qualcuno della Curia. Sennò qua chissà cosa veniva fuori…». Ma nessuno, da Santa Croce a San Dorligo, ha voglia di alzare polemiche. Nel giorno dell’ultimo saluto ognuno sta nel suo dolore. Come a dire, almeno oggi, “molimo”. Preghiamo.

Gianpaolo Sarti

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