San Giacomo, per la crisi chiude anche l’unica libreria
Le scritte che occupano gran parte delle vetrine del negozio e che annunciano vendite promozionali e sconti del 30% su tutti gli articoli, non lasciano dubbi di sorta: la libreria “La Bancarella” di via dell’Istria a San Giacomo chiude i battenti. Le serrande si abbasseranno definitivamente sabato 6 aprile, una settimana dopo rispetto a quella che doveva essere la chiusura annunciata di fine marzo. Si tratta in ogni caso dell’ennesimo colpo inferto dalla crisi economica ad un rione popoloso e popolare come quello di San Giacomo, che più di altri incarna il cuore dell’intera città di Trieste. La notizia ha lasciato increduli gli affezionati clienti del negozio, che ormai da una decina d’anni rappresenta un punto di riferimento per tutto il rione sul fronte dei libri scolastici e non solo. Il punto vendita di San Giacomo appartiene alla catena “Il supermercato del libro” , la cui sede principale si trova a Treviso, ma che può contare anche su una libreria a Trieste, la “Borsatti” di via Ponchielli.
Ma, se prendiamo in considerazione anche la precedente gestione, sono complessivamente quasi venticinque anni che a San Giacomo, in via dell’Istria, è presente un negozio di libri, adesso destinato a scomparire. «Purtroppo la crisi si è fatta sentire anche nel settore del libro ed abbiamo dovuto prendere, a malincuore, una decisione dolorosa - spiega Angelo Pastrello, uno dei titolari -. Pur consapevoli della storicità del negozio di via dell’Istria, siamo stati costretti a rivedere le nostre strategie ed a ricompattare la nostra offerta presente a Trieste nel solo punto vendita del centro città, dove peraltro saranno riassorbiti i due dipendenti che attualmente lavorano nella sede di San Giacomo». Dunque un’altra serranda che si abbassa nel cuore del rione, l’ennesima in questi ultimi anni. A farne le spese soprattutto il settore alimentare, come le piccole botteghe di frutta e verdura, ma non solo: proprio a fianco della libreria “La Bancarella”, è già annunciata la chiusura dell’oreficeria Ferluga. San Giacomo si aggrappa adesso alle attività storiche presenti sul territorio da oltre cinquant’anni: un modo per fare fronte comune, per resistere alla crisi economica e per evitare di alzare bandiera bianca. «E’ una cosa davvero triste - commenta Savina, che da quasi quarant’anni gestisce un negozio di fiori -. La chiusura della libreria si ripercuote su tutto il rione: le persone hanno pochi soldi da spendere. Noi negozianti cerchiamo di unire le forze, pur di tenere in vita questo quartiere». Concetti ripresi anche da Silvio Vuga che, insieme a Fulvio Bronzi, porta avanti un’altra storica attività a San Giacomo, quella di Attualfoto. «Non ci sono dubbi, nel corso degli anni il rione è profondamente cambiato - dichiara Vuga -. Il periodo d’oro è ormai solo un lontano ricordo, adesso con la crisi tutti i negozi sono in affanno, girano pochi soldi e sono cambiati anche i residenti, a San Giacomo oggi vivono molti stranieri».
Franco Verh conduce il negozio di famiglia nel settore dell’abbigliamento, che resiste ormai da tre generazioni. «Cerchiamo di difenderci e di sopravvivere aggrappandoci alla vecchia clientela affezionata - spiega - puntando sui prezzi più bassi. È anche aumentata la concorrenza e le persone sono costrette a fare delle scelte e delle rinunce». Sulla stessa lunghezza d’onda anche Adriano Riosa, che da 36 anni lavora nel negozio di elettrodomestici di famiglia. «Un tempo San Giacomo era il rione dei triestini che venivano qui a fare acquisti, a spendere ed a portare ricchezza - afferma Riosa -. Adesso non è più così, le generazioni sono invecchiate e la crisi ha preso il sopravvento». Il Bar Sportivo a San Giacomo è un’autentica istituzione per i residenti. «La situazione è preoccupante - commenta Sergio Ghersettich che porta avanti da 25 anni l’attività insieme alla moglie -. La continua ecatombe di negozi sta mettendo in ginocchio l’intero rione. La crisi la sentiamo anche noi, tanto che abbiamo dovuto licenziare un dipendente e adesso siamo noi titolari che ci sobbarchiamo turni di lavoro massacranti pur di far quadrare i conti».
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