Samuele, Vincenzo, Anna e il piccolo Isacco Gino. A Trieste altre 13 pietre d’inciampo per ricordare l’orrore

Le nuove mattonelle dorate ideate dall’artista tedesco Gunter Demnig troveranno posto in tutta la città, da piazza Giotti a via dell’Eremo  
Dall’alto in senso orario la famiglia di Alberto Levi, Samuele Levi al mare con i figli e Vincenzo Gigante
Dall’alto in senso orario la famiglia di Alberto Levi, Samuele Levi al mare con i figli e Vincenzo Gigante

TRIESTE Uno dei più piccoli fu arrestato assieme alla mamma, un mese dopo aver compiuto il suo primo anno di vita. Morirono entrambi ad Auschwitz, non si sa che giorno del 1943. Diversi subirono una sorte analoga, denunciati in quanto ebrei, vuoi da un datore di lavoro o vuoi da un conoscente. Ma vi erano anche oppositori politici e persone non appartenenti alla Comunità ebraica cittadina tra le migliaia di vittime che, da Trieste, iniziarono il proprio calvario verso i campi nazisti. Altri tredici nomi e cognomi stanno per essere aggiunti a quelli già scolpiti sulle mattonelle dorate disseminate per le strade triestine.

L’appuntamento è alle 10 di martedì 26 gennaio, davanti al civico 14 di via della Cattedrale, dove abitava Samuele Levi. Le pietre d’inciampo (“Stolperstein” in tedesco) solitamente sono installate nei pressi delle dimore di quelli che oggi non ci sono più, affinché i passanti possano accidentalmente imbattervisi e ricordarli. L’iniziativa, approdata nel capoluogo giuliano nel 2018, è dell’artista Gunter Demnig, che negli ultimi 27 anni ha posato oltre 75 mila pietre in almeno 20 Paesi europei. Quest’anno, causa restrizioni Covid, Demnig non presenzierà, ma il rito si svolgerà lo stesso. Quanto a Samuele, nacque ad Alessandria d’Egitto da genitori corfioti. Giunse a Trieste bambino. Quando aveva più di 40 anni fu denunciato dal negoziante con cui occasionalmente collaborava, come fotografo. Dovette presentarsi agli uffici della Risiera: sottrarsi avrebbe messo in pericolo la famiglia, così il 20 giugno 1944 andò spontaneamente a farsi arrestare. Fu deportato ad Auschwitz e quindi a Kaufering, sottocampo di Dachau dall’indicibile fama, dove fu stroncato dal lavoro forzato il 19 marzo 1945. Nel frattempo i tre figli e la moglie incinta furono nascosti nel sottoscala dei Civici Musei, nella stessa via della Cattedrale: li aiutò il custode Augusto Fabbro.

Tornando al presente, la cerimonia si sposterà in via Pacinotti 5, dove per un po’ abitò Vincenzo Gigante. Non era ebreo, ma antifascista e partigiano, medaglia d’oro al valor militare, nato a Brindisi. A Roma militò nel sindacato degli edili e nel Partito comunista. Fu costretto alla clandestinità dalle Leggi speciali del 1926, sorvegliato come nemico politico dall’Ovra, arrestato nel 1933 e detenuto in diverse carceri della penisola. Evase dopo l’8 settembre 1943. Raggiunse Trieste per unirsi alla Resistenza e organizzare le brigate garibaldine locali. Ma qui fu preso, a causa di una delazione, e ammazzato in Risiera.

In via Timeus 14 stava la famiglia Israel, che fuggì a Firenze in cerca di salvezza. Donne e bambini trovarono un breve rifugio in un convento carmelitano, ma una retata italo-tedesca seppe raggiungerli pure là. Del gruppo familiare si salvò un bimbo di quattro anni, nascosto sotto la tonaca di una suora. Per gli altri la destinazione fu Auschwitz. Le nuove pietre ricorderanno in particolare Anna Israel e suo figlio Isacco Gino, nato l’11 agosto 1942. Furono arrestati il 26 novembre 1943, deportati e assassinati nello stesso anno.

La solennità itinerante proseguirà in piazza Giotti, dove vivevano Giuseppina Jesurum ed Enrico Almagià. Via XXX ottobre, all’epoca residenza di Giacomo, Davide, Rachele e Lucia Israel Cesana. Via Roma, dove c’era la casa di Zoe Russi. Via Biasoletto e via dell’Eremo, dove abitavano rispettivamente Mario e Alberto Levi. Mario di fatto non apparteneva alla Comunità ebraica: aveva madre cattolica e padre ebreo. Ma tanto bastò per farlo includere nel censimento razziale del 1938 e poi nel famigerato “elenco misti”, nella rubrica “B” datata 1942: quando i nazisti subentrarono ai fascisti, l’anno successivo, trovarono per così dire il lavoro pronto. Alberto fu tra quelli che, sul momento, non immaginarono quanto male stava ancora per dispiegarsi. Nonostante fosse stato aggredito all’uscita della Sinagoga, già nel gennaio ’43, non scappò. Forse non riteneva possibile che le cose sarebbero potute andare anche peggio. Fu ucciso nel ’44: di lui restano dei biglietti scritti a mano, dal treno per Auschwitz. L’ultimo dice: «Sono arrivato a destinazione; ho visto durante il viaggio enormi rovine. Abbiate fiducia: la guerra finirà presto. Arrivederci a presto». —


 

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