Salumificio Morgante, 72 in “cassa”

ROMANS. Alle prese con un crisi che al momento non sembra avere via d’uscita, il salumificio Morgante, storica azienda di Romans d’Isonzo, è stata costretta a ricorrere alla cassa integrazione. Il provvedimento è stato sottoscritto a Udine nella sede di Confindustria tra i rappresentanti sindacali regionali di categoria della Fai-Cisl e della Flai-Cgil con i responsabili della società, che ha la sua sede legale a San Daniele del Friuli dove invece produce prosciutto crudo.
La cassa riguarderà tutti i 72 dipendenti dello stabilimento isontino a partire dal 3 marzo e avrà una durata di dodici mesi. Sarà a rotazione, compatibilmente, però, come spiega la segretaria dalla Fai-Cisl per Gorizia e Trieste, Michela Marson, con le esigenze tecnico produttive e organizzative del sito di Romans.
«I lavoratori - spiega - avranno la possibilità di richiedere l’anticipo delle somme del trattamento di cassa integrazione, come previsto dal protocollo sottoscritto con gli istituti convenzionati con il Mediocredito e con la garanzia del Fondo regionale per l’accesso al credito».
«Non sarà dunque l’azienda ad anticipare le spettanze ai lavoratori e questo la dice lunga sulle difficoltà della Morgante dal punto di vista finanziario», aggiunge Marson.
Ma i motivi delle crisi vanno cercati altrove, cioè nella concorrenza. «La grande distribuzione, alla quale la Morgante si rivolgeva, chiede ai produttori grandi quantità di merce a prezzi contenuti, cosa che la Morgante - prosegue Marson - non è stata in grado di fare proprio per la sue dimensioni ridotte».
Ma la mazzata finale, giunta in un momento già difficile, è arrivata con le notizie diffuse nei mesi scorsi sulla pericolosità della carne, definita cancerogena. Notizie che hanno fatto crollare le vendite del prodotto della Morgante sul mercato nazionale del 30%.
Per uscire da questa situazione l’azienda, oltre al ricorso alla cassa integrazione, ha predisposto anche un piano di rafforzamento e di riequilibrio dei costi che dovrebbe consentire di riallineare la produzione.
Concluso l’accordo che dovrebbe portare ossigeno all’azienda in vista di un riavvio a pieno ritmo dell’attività, il sindacato intende seguire da vicino l’evolversi della situazione. Non è stato al momento fissata alcuna data per un ulteriore incontro con la proprietà, ma, fa sapere Michela Marson, «chiederemo di essere informati sull’andamento della situazione e vigiliremo per un corretto utilizzo degli ammortizzatori sociali».
Ora le speranze sono che questa azienda possa riprendersi e tornare sul mercato come lo era un tempo e di non fare la fine di un’altra storica realtà dell’Isontino operante nello stesso settore, la Bertolini di Mossa che alcuni anni fa fu costretta chiudere definitivamente lasciando per strada una settantina di lavoratori.
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