Said: «Gorizia ospitale, ecco perché sono qui»
«Mi hanno detto di venire a Gorizia quando mi trovavo in Bulgaria». Said è afghano, ha 31 anni e parla un ottimo inglese. Barba fatta e capelli corti ben tagliati, ha un aspetto pulito e curato. I suoi occhi sono tutto, tranne tristi. Segue i corsi di italiano della Croce rossa e appena nel corridoio vede un foglio incustodito con degli esercizi di conversazione chiede di poter fare una fotocopia.
Vorrebbe stabilirsi a Gorizia. La sua storia parte da Herat. È arrivato in Italia dopo un lungo giro che lo ha portato fino alle latitudini polari. Si è affidato ai trafficanti di esseri umani. Ha pagato per fuggire dalla violenza del suo Paese e ora è uno dei richiedenti asilo ospitati in via Trieste. Attende di incontrare la Commissione territoriale per la protezione internazionale. Nei fatti le sue parole confermano quelle del prefetto Vittorio Zappalorto: i profughi di tutta Europa conoscono il capoluogo isontino e conoscono la sua ospitalità nei confronti degli stranieri. Dell’“effetto tendopoli”, però non dice nulla. Su una cosa la versione di Said differisce da quella del locale rappresentante del Governo: a indirizzarlo verso Gorizia non è stata alcuna regia internazionale. Si è trattato di semplice caso e di banale passaparola. «Ho incontrato due tizi che, dopo aver ottenuto qui i documenti, si sono sistemati in Bulgaria e hanno aperto un negozio. Sinceramente non saprei dire perché abbiano scelto di stare laggiù. Io spero di poter rimanere a Gorizia e avviare un’attività qui. La città è bella e la gente è gentile. La Bulgaria non mi è sembrata invece un Paese ospitale. Per certi versi è stato come stare in Afghanistan. Lì la polizia mi ha fermato senza documenti e mi ha tenuto in prigione per due mesi. Quando vivevo nel mio Paese sognavo di raggiungere Venezia, ma quando ho incontrato i due tizi del negozio, mi hanno parlato bene di Gorizia, così eccomi qui».
Per Said è stato amore a prima vista. Nel suo peregrinare, prima di finire in Bulgaria, si è ritrovato in Finlandia dove ha lasciato una moglie e una figlia di 10 anni che non vede l’ora di riabbracciare. «Prima devo sistemarmi e per farlo ho bisogno dei documenti», dice. Che il ragazzo sia sveglio lo si capisce subito, ha capito una cosa che forse ad altri, prima di lui, era sfuggita: «Gorizia è una città a misura d’uomo, qui si sta bene e proprio per questo non racconterò a nessuno di questo posto». A Herat Said aveva un negozio. «Sono scappato perché era pericoloso rimanere lì, ma non ha nulla a che vedere con i talebani. È un problema di povertà. Laggiù la gente ha fame. Non c’è niente. Se in giro vedono che hai del denaro, rischi che rapiscano te o un tuo familiare. Arrivano in tre, ti caricano in macchina e poi chiedono un riscatto ai tuoi parenti. Se quelli non pagano, allora ti tagliano le dita e se non pagano ancora passano alla mano e così via». Per fuggire dalla violenza, Said ha pagato i trafficanti di esseri umani. Ha camminato attraverso le frontiere fino ad arrivare in Finlandia dove però la polizia lo ha respinto. Oggi impegna il tanto tempo libero che ha a disposizione per studiare. Oltre all’italiano, studia quelle che potrebbero essere le possibili occasioni di lavoro. Si guarda intorno e pensa a che attività potrebbe aprire quando finalmente avrà i documenti in regola. «Tanti miei connazionali guardano all’Inghilterra, ma non capisco perché vogliano andare laggiù. Forse pensano che ci siano più occasioni di lavoro, ma si dimenticano di guardare alla qualità della vita che c’è in una città piccola come è Gorizia».
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