Russo e le inutili primarie “alla Tafazzi”
TRIESTE Sto cercando da giorni un barlume di utilità in queste primarie chieste dal senatore Francesco Russo, candidato dell’ultima ora contro il sindaco uscente. A furia di pensare, un effetto positivo sono riuscito a individuarlo. Quello di costringere Roberto Cosolini a tirar fuori gli attributi e comunicare col popolo di Trieste. Era ora. Il nostro primo cittadino ne ha per troppo tempo fatto a meno, commettendo un errore grave di questi tempi in cui tutto si gioca sulla comunicazione. Ora sta rimediando: ha accantonato Facebook e guarda più negli occhi gli elettori. I quali hanno bisogno di una presenza fisica, carnale, che al monumentale Cosolini di certo non difetta, e anche di storie da ascoltare, le storie di quattro anni di lavoro durissimo in tempi di vacche che più magre non si può. Viva dunque Francesco Russo e il suo bello sgambetto a ciel sereno.
Certo, posso dire che dal Sindaco avrei voluto qualcosa di più. Che c’era bisogno di più coraggio. Che servivano atti simbolici capaci di dare il segno politico della svolta, cose anche a costo zero, tipo rimettere le panchine tolte dalla destra in piazza Venezia e togliere di mezzo i bidé impiantati in loro vece. Cose come piantare un bel tiglio davanti al museo Revoltella invece dei fanali psichedelici decisi dalla Banda Bassotti, oppure ribattezzare la pescheria col suo nome invece di infliggerci ancora quel zuccheroso “Salone degli incanti” che niente ha a che fare con la nostra storia marinara. Avrei preferito un sindaco che delegasse di più, che lasciasse crescere i suoi assessori, per avere il tempo di pensare in grande, di costruire ponti, di mobilitare le energie civiche migliori. Un sindaco che facesse più politica estera e pensasse non solo platonicamente al mare come destino.
Ma poi mi dico: lui almeno c’era. Si è fatto un mazzo così. A Trieste, non a Roma. Mi dico che se non ci fosse stato lui, oggi staremmo peggio e avremmo ancora in piedi il Luna Park garantito dal suo simpatico predecessore. Dietro le feste della sardella, avremmo gli accumulatori di cariche stile Paoletti, la devastante monarchia della Monassi sul porto, Dipiazza stesso a presiedere un aeroporto deserto, l’inamovibilità di Calenda al Teatro Stabile, la corte dei miracoli camberiana alla testa delle mille partecipate comunali, gli sfacciati assenteismi del Verdi, il catenaccio delle ditte amiche sugli appalti pubblici che contano, “bidoni” tirati pur a personaggi potenti e amici come Paniccia cui è stato impedito - per ragioni puramente clientelari - fuori tempo massimo di realizzare un centro congressi all’ex magazzino vini. Con Dipiazza avremmo ancora i veti sull’acquisto della Ferriera, che invece ha trovato un compratore ed è finalmente su un’ardua strada del risanamento. Cosolini non ha mollato un attimo, gli è mancato solo il tempo di dirlo. Non è andato a caccia di tordi e beccacce come faceva una settimana sì e una no el cocolo mulo Dipiazza. Penso a tutto questo e dico: forse non è l’uomo dei miei sogni, ma si è esposto. E la città la conosce.
Detto questo, le primarie in questione sono un’assoluta inutilità. Ci ragiono sopra, per capire il movente che sta dietro al lancio di questa tegola. Provo a indovinare. Lo sfidante ha due grossi problemi. Il primo è che il Senato cesserà di esistere, dunque egli non può pensare a una rielezione. Il secondo è che, se si candidasse alla Camera, sarebbe stritolato da Ettore Rosato, mastino invisibile di Renzi (nel cerchio magico di un premier dall’ego così smisurato si entra solo a patto di essere invisibili). Capisco che Francesco Russo debba trovare una via d’uscita. So che ci pensa e ne parla da mesi, almeno da questa estate. Ma allora perché ha aspettato tanto a farsi avanti? Perché questa entrata a gamba tesa in area Cesarini? Perché questa mossa così disperata che rischia di avere come unico effetto quello di rilanciare una Destra inesistente e divisa?
Non bastava al Pd il clamoroso autogol padovano? A Padova l’ex sindaco Zanonato aveva lanciato come suo erede il collaudato vicesindaco Ivo Rossi, un uomo all’altezza della tradizione universitaria della città. Ma a un niente dal voto è arrivata la solita richiesta firmata Tafazzi delle primarie, con i candidati là a sbranarsi democraticamente sotto gli occhi di tutti e in particolare della Lega, un partito stalinista che ha Salvini come unico dio e che alle successive elezioni è riuscito a vincere con un signor nessuno, un mandriano di Cittadella di nome Massimo Bitonci, che solo il cognome doveva mettere in guardia. Le primarie funzionano solo se poi c’è il tempo di suturare le ferite e riappacificare gli animi. Davvero la storia, anche quando è vicina, non insegna niente.
Francesco Russo ha fatto meticolosi sondaggi su Cosolini e altri papabili, ma ne ha fatto uno anche su se stesso? Non mi risulta. Eppure sarebbe stato utile, gli avrebbe impedito di fare un salto nel vuoto. Ora egli non ha la minima di idea di come potrebbe funzionare la propria candidatura. E poi mi chiedo: quali contatti è riuscito ad avere con Trieste nel tempo del suo mandato parlamentare? Pochini. Personalmente, dopo la sua partenza per Roma, non l’ho più visto e non ho ricevuto da lui nemmeno una telefonata. Come pensa, in caso di vittoria, di poter conquistare in così poco tempo il cuore degli elettori? Come pensa, in un tempo così breve, senza nessuna esperienza amministrativa, di riuscire a dominare la complessa macchina municipale? E infine, è conscio che le primarie non sono di partito, ma di coalizione, e che bisogna coinvolgere tutti gli alleati, complicando ulteriormente il quadro? Mi viene quasi voglia di candidare me stesso, perché il carnevale sia completo.
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