Ruffo: «Una fase 2 senza strategia. Serve più dialogo con la Regione»

Le perplessità del direttore della Sissa per il mancato coinvolgimento dei vari Istituti. «Solo ora timidi segnali»
Il direttore della Sissa Stefano Ruffo
Il direttore della Sissa Stefano Ruffo

TRIESTE «In Italia e in Fvg la preparazione alla fase post-lockdown è stata completamente insufficiente. Abbiamo ricevuto solo una serie di raccomandazioni, ma dalle autorità non è stato proposto alcun piano reale ed efficiente da attuare». Non ha usato mezzi termini Stefano Ruffo, direttore della Scuola internazionale di studi superiori avanzati di Trieste, per evidenziare il problema principe di questa fase 2.

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Lo ha fatto intervenendo in videoconferenza al colloquium organizzato dalla Sissa che ha avuto come protagonista l’epidemiologo computazionale Alessandro Vespignani, in collegamento dagli Stati Uniti. Il mantra di Vespignani è ciò che vanno ripetendo da tempo molti esperti di epidemiologia: per riaprire in sicurezza è necessario applicare il metodo delle tre T, ovvero testare, tracciare, trattare (testing, tracing, treating).

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Per Ruffo la criticità è proprio questa: «Va incrementato il più possibile il numero di test molecolari e sierologici per identificare potenziali focolai di infezione, serve l’implementazione di un progetto di tracciamento e una strategia di isolamento definita per i potenziali infetti», spiega Ruffo, che è tra i firmatari dell’appello di Lettera 150, un gruppo d’accademici di diverso orientamento politico che chiede appunto una campagna di tamponi di massa per una fase due che riesca a coniugare la tutela della salute con il riavvio delle attività produttive e l’esercizio delle libertà individuali.

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«La comunità scientifica di Trieste (Sissa, Ictp, UniTs) ha dato piena disponibilità alle autorità regionali a collaborare con la propria esperienza nell'analisi dei dati due mesi fa, e stiamo osservando solo in questi ultimi giorni un timido progresso in questa direzione - ha evidenziato Ruffo -. In Italia non abbiamo le risorse degli Usa, ma siamo un Paese ricco d’inventiva e di competenze: abbiamo messo a disposizione della regione la nostra esperienza, vorremmo che fosse sfruttata maggiormente. Ho avuto un colloquio con l’assessore Alessia Rosolen lo scorso 16 marzo: credo che abbia compreso come, unendo le forze, si possa lavorare meglio e sfruttare appieno il sistema delle ricerca regionale. Ora serve un passo successivo, questa unione d’intenti va sfruttata: penso per esempio al discorso tamponi, che potremmo eseguire sia in Sissa sia all’Icgeb. E ancora potremmo capire se i reagenti si possono realizzare nei laboratori di chimica delle nostre università. Il Cnr ha dei laboratori che possono certificare le mascherine, possiamo fare la sanificazione con metodologie innovative, stampare in 3D ventilatori polmonari e mettere a sistema le nostre competenze nell’analisi dei dati. Le potenzialità degli enti di ricerca e degli atenei del territorio meritano d’essere sfruttate. So di trovare anche nel governo regionale una certa sensibilità a questi temi, ma bisogna essere operativi da subito, non si possono aspettare accordi di programma: dobbiamo muoverci rapidamente».

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In quest’ultimo periodo, spiega il direttore, è mancato un po’ il dialogo. «Ma stiamo lottando tutti contro un nemico comune: alla politica spettano le decisioni, noi possiamo contribuire con le competenze scientifiche». Perché tutti gli sforzi per immaginare una fase 2, da quelli messi in campo dalle università, dagli enti scientifici e dalle imprese a quelli su cui sta meditando il mondo della cultura, devono essere inseriti in un contesto: «Mancano le coordinate, che ora invece sono indispensabili se non vogliamo trovarci in breve tempo a dover richiudere tutto dopo tutti gli sforzi già compiuti o a quello scenario terribile che prevede il rischio di 150 mila terapie intensive se si sbaglia nella fase 2», conclude Ruffo. —


 

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