Ruderi, verde incolto e rifiuti tra i vicoli della “Piccola Parigi”

Seconda stella a destra, questo è il cammino. E poi dritto fino a corte Fedrigovez, l’isola che non c’è. Se non fosse per lo spuntare di qualche imponente struttura ultramoderna che sbuca da qualche giardinetto, si potrebbe pensare che il mezzo utilizzato in quel piccolo anfratto del rione di San Giovanni sia ancora la carrozza scoperta con i cavalli che trainano. Potrebbe essere un bene. Ma il motivo che porta a questa considerazione è che in quell’angolo che si nasconde a via Giulia il tempo si è fermato da troppo. Basterebbe così poco per ridarle quell’aurea che merita di luogo incantato a due passi dal centro. Sovrastata da altissimi edifici degli anni Sessanta e Settanta, il sole fa difficoltà a penetrare. Alla fine ci arriva comunque e si posa su deliziosi orti, piccole casette in fase di restauro, ma anche su tanti edifici abbandonati, una piccola foresta completamente degradata e una strana atmosfera tenebrosa. Dall’alto incombe il parco dell’ex Opp. Sopra il resto di quella che è la “Piccola Parigi”, l’area che assomiglia al villaggio di Montmartre. Si sentono animali ululare, cani che abbaiano all’imbrunire, sembra quasi di essere in campagna, quello che era davvero tempo fa.
Tre piccole stradine, via Donato, via San Felice e via San Primo si incrociano come in un labirinto e formano questo piccolo pezzo di città. Corte Fedrigovez (anche corte dei miracoli), che sembra prendere il nome dallo spagnolo don Federico Viz, proprietario di alcune case - così scrive Fabio Zubini, lo specialista dei rioni di Trieste, nel suo libro su San Giovanni -, può essere imboccata da tanti punti. Ma accediamo da via Donato. Un piccolo portale accanto a un ristorante invita direttamente a entrare nella corte. “I misteri di corte Fedrigovez” si legge su un palo. E subito accanto un rudere. Dei tubi di ferro di impalcature tengono in piedi l’edificio completamente sventrato. Appoggiato sul muro un masso orizzontale con su scritto “Io odio il cemento”. L’edificio è una proprietà derivante da un’eredità ed è in vendita. «Abbiamo delle trattative in corso - spiega Enrico Manià di Teknoimmobiliare & Immobiliare Gabbiano Snc -, c’è da fare tutto, è in vendita da parecchio tempo, si sa che il momento è difficile per il mercato immobiliare, comunque potrebbe essere aumentato il valore se ristrutturata. Appetibile per una famiglia, perché sono due piani e 110 metri quadrati».
Poco più in là, stessa identica situazione. Altro immobile, altra proprietà in disuso. Il verde intorno e le stradine minuscole sono vuote. Pochi metri tra pareti nuove e mura che sembrano ancora quelle ritratte nelle foto d’epoca, c’è via San Felice numero 8. Una casa tutta grigia, un tempo abitata. Le finestre sprangate e addirittura murate. La proprietà in questo caso di Cividin Costruzioni srl che, come raccontano le cronache, è fallita nel 2015. Dietro l’edificio, la foresta. Un piccolo polmone completamente abbandonato, dove crescono alberi, che nel frattempo cadono e la vegetazione vive spontanea senza che nessuno la disturbi. Ma qualcuno invece ha pensato di lasciare una traccia. In maniera ossessiva: l’area è tappezzata da bottiglie di plastica piene d’acqua, lasciate lì da tempo. Pile e pile ogni metro. Nascoste, evidenti, raccontano quasi un percorso di Hansel e Gretel. Sono abbandonate per terra e appoggiate in fila indiana, come una sorta di inquietante mania. Carrelli della spesa, calcinacci e spazzatura. Gatti appollaiati sui muretti, un po’ i veri padroni di questi vicoli fantasma.
Infilandosi tra le viuzze, quasi sentieri, il piede affonda nel terriccio e nel fango. Ecco un pozzo, un pozzo antico, divorato dalla vegetazione. Assomiglia molto a quelli che si trovano nel libro di Zubini, disseminati fra le vie attorno dove nell’Ottocento abitavano le lavandaie. Il sentierino tra le case, in fondo, è quasi un bosco impenetrabile. Ci si lascia alle spalle, ancora, edifici diroccati, avvolti da rovi ed edera come tentacoli. Un set, si direbbe, di un film horror. Ma di chi è la responsabilità? «Mi pare che la maggior parte dell’area sia privata, poco è di pertinenza del Comune» spiega l’assessore al Patrimonio Lorenzo Giorgi. E in effetti così dovrebbe essere.
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