“Rosso” da 20 milioni nella sanità del Fvg
TRIESTE. I conti della sanità regionale non tornano. Poco meno di venti milioni mancano all’appello e servirà un intervento ad hoc per ripianare il rosso dei bilanci delle Aziende sanitarie universitarie integrate di Trieste e Udine, che hanno chiuso i propri consuntivi 2017 con il segno meno, riportando passività che valgono rispettivamente 12,2 e 5,8 milioni. Un ammanco, va precisato, non dovuto a gestioni “allegre”, ma al sempre più consistente incremento del costo dei farmaci di ultima generazione, all’acquisto di strumentazioni e a nuove assunzioni, cui non è corrisposta però l’iniezione di nuove risorse nell’ambito di una riforma che ha puntato su una razionalizzazione dei costi, i cui effetti sono ancora al di là da venire.
Ci dovrà pensare la nuova giunta, il cui primo atto in materia sarà proprio l’assestamento di bilancio che servirà, fra l’altro, a rimettere in ordine i bilanci aziendali che segnano spese non coperte dal nuovo metodo di finanziamento basato sui cosiddetti costi standard. Si tratta di un criterio che punta a superare i trasferimenti tarati sulla spesa storica e ad evitare quindi tagli lineari: fino all’introduzione della riforma, le Aziende sanitarie ricevevano infatti i fondi sulla base di quanto speso negli anni precedenti, non ricavandone dunque l’impulso alla contrazione delle uscite superflue o abnormi. Il nuovo calcolo si basa sull’analisi di quanto speso da una serie di Regioni italiane virtuose, parametrato alla loro popolazione di riferimento. Ne deriva un costo per abitante che le strutture sanitarie sono chiamate a rispettare. Un meccanismo inevitabile in tempi di coperta corta e aumento dei costi legati all’incremento della popolazione over 65, che negli ultimi vent’anni in Fvg è salita da un residente su cinque a uno su quattro.
I costi standard sono il sistema voluto a livello ministeriale e applicato dunque anche nell’ambito della riforma regionale, che ne ha previsto l’introduzione graduale dal 2014 con l’obiettivo di trasformare via via i trasferimenti basati sulla spesa storica in quelli calcolati sui costi standard. Da quando questi ultimi sono diventati predominanti, la situazione si è fatta più complessa per l’Azienda triestina, che nel 2016 ha segnato un passivo di poco meno di un milione, diventato di oltre 12 nell’anno appena concluso. Non sono infatti sufficienti i pur previsti aggiustamenti sulla base della quota di popolazione over 65, che permettono alle Aziende di ricevere più risorse se collocate in territori con un’età media particolarmente elevata. Non a caso, nel 2017 Trieste ha ricevuto 55 milioni in più rispetto ai costi standard e Udine 20, ma ciò non è stato sufficiente.
E così l’Azienda giuliana si ritrova sottofinanziata rispetto al criterio della spesa storica. Non è però la Regione a essere matrigna, ma la sanità triestina ad aver assorbito in precedenza risorse maggiori rispetto a quelle destinate ad altri territori. Se i costi standard hanno penalizzato infatti l’AsuiTs e l’AsuiUd (quest’ultima a -5,7 milioni contro i +300mila euro del 2016), l’Azienda pordenonese ne ha ricavato un avanzo rispetto a un passato che la vedeva ricevere meno di quanto dovuto coi nuovi criteri.
Per quanto riguarda invece le Aziende senza ospedale “hub”, quella isontina segna nel 2017 un attivo di 7,2 milioni con un aumento rispetto ai 4 del 2016: risorse che potranno essere riallocate e andare in aiuto alle consorelle. Le cifre vanno comunque relativizzate davanti a un bilancio complessivo del Ssr che supera i 2 miliardi.
Nel caso di Trieste, il destino sembra peraltro piuttosto beffardo, dal momento che l’esecutore della riforma sanitaria, l’ex direttore centrale Adriano Marcolongo, è diventato nel frattempo direttore dell’AsuiTs e si ritrova dunque ora alle prese con un contenimento delle risorse che ne fa praticamente la vittima di sé stesso. Se il riequilibrio pare necessario in tempi duri per i bilanci regionali, il vero problema è che il processo non pare aver tenuto conto di una serie di spese in aumento e di tempi non brevi per effettuare il taglio dei costi contenibili. Fra gli operatori si ritiene in parole povere che la riforma abbia inteso procedere troppo rapidamente nell’utilizzo dei costi standard e, seppur senza taglio alle risorse complessive, non abbia fornito quell’iniezione di finanziamenti aggiuntivi necessari davanti a spese finalizzate al miglioramento del servizio.
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