Rossi e la “gaffe” su Tito: «Un errore in buonafede»
TRIESTE Molte critiche, ma nessuna condanna. Il centrodestra triestino non risparmia commenti negativi e giudizi in qualche caso anche severi all’indirizzo dell’assessore comunale alla Cultura, Giorgio Rossi, che l’altro giorno, in un’intervista concessa al quotidiano di lingua slovena Primorski Dnevnik, aveva definito Tito «un grande statista». Ma, nella sostanza, rinvia a una fase successiva una valutazione definitiva dell’operato di Rossi, chiedendo allo stesso di rivisitare tale dichiarazione, auspicando una «precisazione sul contenuto».
Bruno Marini, consigliere comunale di Forza Italia, condivide il giudizio formulato, subito dopo l’uscita di Rossi, da Claudio Giacomelli, segretario provinciale di Fratelli d’Italia, il quale aveva affermato che l’unica parola per definire Tito è «boia». «Certamente Tito per la storia non può che essere definito un assassino e un dittatore - dice il consigliere forzista - perché il maresciallo a mio avviso va messo sullo stesso piano di Pinochet, cioè di uno dei peggiori dittatori che abbia conosciuto il Sud America. Tito è stato anche un grande nemico delle nostre terre - aggiunge Marini - poi però, se vogliamo valutare il suo operato come guida della Jugoslavia, allora la definizione che ne ha dato Rossi può anche essere accettata, in quanto Tito ha saputo difendere al meglio gli interessi di quel Paese. Credo che su questi concetti possa concordare anche lo stesso Rossi - conclude l’esponente degli Azzurri - e magari lo farà nei prossimi giorni».
Anche Antonio Lippolis, ex An e oggi consigliere comunale della Lega Nord, è sulla stessa linea. «Quello che ha detto Rossi è gravissimo - esordisce - e credo che l’assessore avrebbe dovuto puntualizzare meglio il suo pensiero, soprattutto perché sa che dire una cosa del genere a Trieste è gravissimo. Sono però altrettanto convinto - prosegue il leghista - che Rossi si sia espresso in assoluta buonafede e sono portato a pensare che sia stato male interpretato da chi l’ha intervistato. La dò buona a Rossi - sottolinea Lippolis - se ha inteso riferirsi al ruolo svolto da Tito nei confronti della Jugoslavia, in una precisa fase storica. In tale contesto la definizione di statista ci può stare. Magari l’assessore - conclude - doveva prestare maggiore attenzione alle parole e, a proposito della figura di Tito, inserita in un contesto storico globale, avrebbe dovuto chiamarlo infoibatore, perché questa è la realtà».
Massimiliano Lacota, presidente dell’Unione degli istriani, è da qualche giorno in Ungheria, ma l’eco della polemica lo ha raggiunto fino in terra magiara. «La famiglia di Giorgio Rossi è originaria di Umago, cittadina dalla quale sono dovuti scappare subito dopo la guerra - afferma - perciò non ho dubbi sul fatto che l’assessore sia stato in perfetta buona fede. Considero piuttosto l’ipotesi di un equivoco - prosegue - provocato probabilmente dalla necessità del Primorski di sintetizzare all’estremo quanto detto da Rossi. Ho troppa stima per l’esponente della giunta Dipiazza - sottolinea ancora il presidente dell’Unione degli istriani - che so essere equilibrato e persona di buon senso, per non interpretare in questa maniera l’accaduto. Statista è un termine che può andare bene, a proposito di Tito - conclude Lacota - solo se si valuta il suo operato per la Jugoslavia, per la quale ha lavorato al meglio. Quanto al resto, e cioè per la parte principale del suo operato, ci sarebbe molto e di peggio da dire».
Sarcastica e laconica la reazione del consigliere comunale di Forza Italia, Everest Bertoli, che chiude la vicenda così: «Non conosco lo sloveno, perciò non leggo il Primorski Dnevnik - afferma - di conseguenza sulla vicenda non ho nulla da dire perché non l’ho seguita».
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