Rosato, il tessitore paziente del gruppone Pd

Anche il deputato triestino è spuntato tra i nomi spendibili per il rimpasto. Ma Renzi lo vuole in Aula
Ettore Rosato
Ettore Rosato

Anche nel maggio 2006 il suo nome entrava con scetticismo fra i possibili sottosegretari del secondo governo Prodi: ma alla fine Ettore Rosato, triestino del '68 (e allora fresco di sconfitta nella corsa al Comune di Trieste contro Roberto Dipiazza), strappò il posto di numero 3 al Viminale, con Amato ministro e Minniti vice.

E chissà che anche stavolta non possa cogliere qualcosa di più consistente di una citazione nei retroscena giornalistici, scavallando i dubbi e gli ultimi spifferi sulle geometrie di Palazzo che, al momento a quanto pare, lo tengono fuori.

All'Interno 9 anni fa ebbe la delega, tra le altre, ai Vigili del Fuoco. E l'arte del pompiere Rosato l'ha saputa ben apprendere e usare per i molti fuochi che la caldaia di Montecitorio in questa avventurosa legislatura riserva e che lui, al terzo incarico alla Camera, ricoperto da novembre scorso come vicepresidente vicario dell'immenso gruppo Pd, è chiamato a governare.

Gestire un partito ai massimi storici del consenso e della discussione interna, sempre sul limitare di clamorose spaccature in cui entrerebbe in gioco un altro triestino come Gianni Cuperlo, schierato dall'altra parte della barricata democrat al vertice di Sinistradem (ed è impossibile dimenticare, a proposito di Trieste nel Pd, il pezzo da novanta Debora Serracchiani, governatore e vicesegretario, tirata in ballo per il dopo-Lupi alle Infrastrutture), richiede inesauribile pazienza e capacità di tessitura.

L'aula di Montecitorio
L'aula di Montecitorio

Le abilità pertinenti di Rosato sono ampiamente riconosciute (in ultimo sull'elezione di Mattarella al Colle), in un gruppo parlamentare profondamente rinnovato dove l'esperienza e il calcolo di un funzionario delle Generali in aspettativa sono preziose in affiancamento al capogruppo Roberto Speranza, alla prima esperienza a Montecitorio e leader di Area riformista, corrente di minoranza del partito.

Se ci soffermiamo sulle correnti Pd non è (solo) per gusto d'anagrafe della nomenklatura, ma perché proprio sulle correnti si sta svolgendo una partita piuttosto interessante nel partito e in cui Rosato gioca un ruolo primario. In questa fase lo potremmo definire il teorico del Correntone, ma attenzione a non confondersi con la mozione diessina dove si ritrovò il grosso della sinistra della Quercia, da Cofferati a Bassolino.

No, il Correntone rosatiano è totalmente iscritto nella contemporanea parabola di Renzi ed è espresso da lui stesso così: «Con un leader così forte e un lavoro così grande davanti ha senso solo che ci sia un unico gruppo compatto che sostenga il segretario senza divisioni correntizie che sarebbero inspiegabili. Chi sostiene Renzi deve stare insieme in un'unica grande corrente. Bisogna arrivare a un unico correntone renziano» (Ansa, 1 marzo, un mese fa).

Unanimismo? No. Piuttosto una mossa nell'ambito dei complessi rapporti di forza che si stanno determinando nel Pd col moltiplicarsi delle correnti: Rosato è coordinatore di Area Dem, corrente guidata da Franceschini e Fassino e nata in occasione delle primarie in cui il primo giocava per la segreteria (Rosato era coordinatore della campagna elettorale), e coi vertici della compagine sta immaginando un rilancio, magari convergendo sul nuovo Spazio democratico lanciato da Matteo Richetti, Graziano Delrio e Angelo Rughetti, fedelissimi del fiorentino senza essere yes-men.

Negli ultimi tempi Rosato è dato in totale consonanza coi renziani di stretto giro, con molti dei quali - Renzi in primis - condivide l'origine nella Dc (Moro è il mito politico di Rosato, ne legge e rilegge i discorsi, spezzandoli col più morbido Harry Potter). E l'impressione è che il triestino, più che al governo, sia oggi ritenuto pedina indispensabile soprattutto in Parlamento.
 

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