Romoli contro la Curia «Il San Giuseppe non serve»
Era prevedibile. Sì, c’era da aspettarselo che l’apertura dell’arcivescovo sul centro San Giuseppe (destinato a ospitare, seppur per brevissimi periodi, un numero imprecisato di immigrati) suscitasse le reazioni stizzite del sindaco Ettore Romoli.
Peraltro, c’è uno spunto di estrema attualità nelle riflessioni del primo cittadino. «Ieri si è svolto alla Prefettura di Trieste un incontro dedicato ai temi dell’immigrazione e dell’accoglienza. Nel corso della riunione - sottolinea Romoli - è stato ribadito che l’Uti Collio-Alto Isonzo dovrà accogliere non più di 170 profughi, escluso il Cara che costituisce un discorso a se stante. Monfalcone, tanto per fare un esempio, dovrà garantire l’accoglienza a 130 persone. Gorizia, secondo gli stessi piani della Regione, dovrà dare risposta a 80, massimo 90 migranti che già oggi sono regolarmente alloggiati al Nazareno. Significa che altri richiedenti asilo non sono previsti nel territorio del capoluogo di provincia». Tutta questa premessa per arrivare alla conclusione: «Il San Giuseppe non serve a nulla. Non occorre aprire altre strutture di accoglienza nel nostro Comune. Non capisco perché si debba andare a ristrutturare un immobile di proprietà della Curia per dare accoglienza a non si sa chi».
Romoli è un fiume in piena. E piazza anche l’affondo. «Sembra un accanimento terapeutico contro Gorizia. Quando si parla di accoglienza, pare che le uniche soluzioni siano a Gorizia, non in altri Comuni. Viene il sospetto, che per tanta parte della città è una certezza, che ci sia a Gorizia qualcuno o qualche organizzazione che, a tutti costi, vuole attirare e mantenere i migranti a scopo di lucro». Il sindaco non fa nomi ma instilla il dubbio. «Ripeto: di fronte all’evidenza dei numeri e delle previsioni della Regione, il San Giuseppe non serve a nulla. Piuttosto, si proceda rapidamente alla redistribuzione della presenza dei richiedenti asilo in tutti gli altri Comuni della provincia e della regione così come codificato dall’ente guidato da Debora Serracchiani. Non si tratta di inventare nulla ma di dare gambe al tanto decantato progetto di accoglienza diffusa». Romoli ricorda anche le recenti parole dell’arcivescovo di Gorizia. «Carlo Maria Redaelli, più volte ha dichiarato che l’unica via d’uscita è l’accoglienza distribuita su tutto il territorio».
Nel sito web della Curia, infatti, viene riportata una "Dichiarazione dell'Arcidiocesi" in cui c'è il resoconto dell'ultima seduta del Consiglio pastorale diocesano, svoltasi in Arcivescovado di recente, sotto la presidenza dell'arcivescovo monsignor Carlo Roberto Maria Redaelli. «Il Consiglio pastorale diocesano ha espresso il proprio apprezzamento alla Caritas ma anche a tante comunità parrocchiali impegnate quotidianamente nell'accoglienza dei richiedenti asilo; ha ribadito, come già sottolineato nel Documento sottoscritto insieme al Consiglio presbiterale diocesano lo scorso autunno, la necessità di un'accoglienza diffusa sul territorio provinciale. Un'accoglienza che, pur tenendo conto delle problematiche complesse legate ai flussi migratori, sappia andare oltre i pregiudizi, alle diffidenze e gli interessi di parte per porre in primo luogo al centro della propria azione ogni persona umana e la sua dignità».
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