Roma scommette sul porto di Trieste per fare breccia nel colosso cinese

TRIESTE Nel quadro in continuo movimento della geopolitica odierna, il porto di Trieste potrebbe diventare uno degli estremi gangli occidentali degli interessi di Pechino. È la prospettiva sotto cui si svolge l’imminente viaggio del ministro degli Economia Giovanni Tria e del sottosegretario dello Sviluppo economico Michele Geraci, in programma dal 27 agosto al 2 settembre.
Ai rappresentanti diplomatici si affiancherà una delegazione rappresentativa delle realtà economiche del Paese: Bankitalia, Cassa depositi e prestiti, Snam, Fincantieri.
Lo scopo? Con la prossima fine degli acquisti di titoli di Stato e lo spostamento su posizioni più caute da parte della Bce, l’Italia dovrà collocare nel 2019 sui mercati circa 257 miliardi di euro di titoli di Stato a medio e lungo termine. E guarda alla Repubblica popolare come potenziale acquirente. Compito della missione di Tria sarà rassicurare i cinesi sull’orientamento del governo giallo-verde in materia economica, ma non solo. Nel momento in cui gli Usa a guida Trump inaugurano le guerre commerciali, un governo italiano con uno sguardo potenzialmente “eurasiatico” si pone come un possibile interlocutore privilegiato per la Cina in Europa.
Come si colloca Trieste in questo contesto? A chiarirlo è il sottosegretario Geraci, uomo scelto dal governo per la sua familiarità con il Paese asiatico, che ha definito la questione in questi termini: «La Cina cerca un porto nell’Adriatico del Nord, per raggiungere l’Europa con le sue merci: il più a Nord possibile, perché muoversi per via d’acqua costa meno che muoversi via terra».
In questo senso Trieste sarebbe «la soluzione migliore»: «Investimenti cinesi per ampliarne la capacità, anche logistica. La posizione della città è ottima per loro: non tanto perché è in Italia, ma perché è sul confine, ha connettività con l’Europa dell’Est e del Nord». L’obiettivo che Geraci si prefigge è offrire uno sbocco preciso e funzionale agli interessi cinesi: «Vorremmo dire loro dove investire. Non come in passato quando si parlava di tante ipotesi, generiche, per i porti. Il loro interesse si concentra su Trieste. Per noi - precisa il sottosegretario - è un’opportunità».
Le ragioni delle mire dei cinesi su Trieste starebbero principalmente nei suoi collegamenti logistici verso Nord. Pechino sta scommettendo con forza sull’Europa settentrionale, anche alla luce dello scioglimento dei ghiacci polari e della maggior praticabilità delle rotte nordiche. L’Europa meridionale in affanno assume fascino se proiettata in quella direzione. In questo senso Trieste ha diverse carte da giocare: la linea ferroviaria per il porto baltico di Kiel collega il porto adriatico al mondo scandinavo, mentre il patto siglato con il porto fluviale di Duisburg (legato da 25 treni settimanali alla Cina del Nord) connette Trieste direttamente al corridoio terrestre della Nuova Via della Seta.
Secondo gli addetti ai lavori un impegno concreto cinese a Trieste sarebbe molto vicino, e in questo contesto andrebbero lette le affermazioni mirate di Geraci. Tra gli operatori privati del porto prevale un certo ottimismo.
Il presidente dell’Autorità di sistema portuale Zeno D’Agostino è cauto: «A settembre arriveranno ulteriori interlocuzioni. Fatto sta che troppa gente considera la Via della Seta come un progetto politico, mentre così non è. Sono gli operatori a farla». Di fatto è operativa già oggi, dice: «Abbiamo tantissime merci, i numeri di luglio e agosto sono spaventosi, i numeri dei container aumentano a percentuali incredibili. È l’effetto della crescita delle linee intercontinentali». Ma il progetto è anche industriale, conclude: «Da questo punto di vista Trieste ha da offrire i suoi punti franchi e la sua possibilità di sviluppo. E noi stiamo dialogando con i soggetti giusti».
Esistono però anche delle preoccupazioni. Di fronte alla possibilità di un investimento significativo della Cina a Trieste, c’è chi ricorda le difficilissimi condizioni di lavoro a cui sono sottoposti i portuali del Pireo, in Grecia, finito in mani cinesi. Ma il contesto triestino sarebbe molto diverso, ragiona il portavoce del Coordinamento lavoratori portuali di Trieste, Stefano Puzzer: «Sicuramente la vediamo come un’opportunità. I cinesi a Trieste dovrebbero comunque operare secondo le nostre leggi. Senza contare il fatto che Trieste, grazie all’Allegato VIII, ha la possibilità di dare ulteriori tutele ai chi lavora». —
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