Rivoluzione o golpe? Si riapre il giallo sulla fine di Ceausescu
BELGRADO C’erano 100mila persone in piazza a Bucarest, il 21 dicembre del 1989, quando il sindaco della capitale romena presentò alla folla «il molto amato e stimato leader del partito e della nazione», Nicolae Ceausescu. Il presidente-dittatore oscurantista non sapeva ancora che il suo giorno era venuto, quello in cui le masse avrebbero visto il re nudo. Parlò per pochi minuti, riuscì a ringraziare gli organizzatori di «questo grande evento». Poi la storia iniziò tumultuosamente il suo corso, con fragore di esplosioni in sottofondo, la folla urlante, Ceausescu che guarda smarrito, sua moglie Elena, madre-padrona del regime, che strilla «qualcuno sta sparando», la Securitate che gli intima di rientrare, lui che grida «compagni, state calmi», offre aumenti salariali. Ma la folla ormai non ci crede più. E lo abbandona definitivamente. Flashback dall’ultimo discorso di Ceausescu, momento storico trasmesso dalla Tv nazionale, seguito da una fuga in elicottero il giorno dopo, da violenti incidenti anche nella capitale dopo quelli sanguinosi a Timisoara, dalla cattura ed eliminazione del dittatore e di Elena dopo un sommario processo, il giorno di Natale del 1989.
Sono passati ormai 28 anni dalla rovinosa caduta di Ceausescu, ma non è ancora tutto è chiaro quanto accaduto in quei gelidi giorni del 1989, che restaurarono la democrazia in Romania al costo di mille morti e più di 3mila feriti. Lo confermano le rivelazioni del procuratore militare Marian Lazar, uno dei protagonisti di una nuova indagine, l’ennesima, su quanto avvenuto quasi trent’anni fa a Bucarest. E sono rivelazioni che stanno facendo molto discutere, in Romania. Lazar, nei giorni scorsi, ha infatti suggerito che la sollevazione contro Ceausescu durante quello che fu il suo ultimo discorso, non fu solamente una rivolta dal basso. O meglio, che qualcuno indirizzò e fomentò la rabbia crescente fra la popolazione per dare un assordante, cruento e definitivo scossone al regime. «Abbiamo stabilito», ha detto Lazar, come riportato da Radio Romania, che «senza ombra di dubbio non ci fu alcun vuoto di potere in Romania nel 1989». Nessun vuoto perché un «comando politico-militare», la cui intera composizione non è stata resa pubblica - anche perché molti documenti sono stati distrutti - prese immediatamente il controllo del Paese dopo la fuga di Ceausescu, il 22 dicembre.
Fatto ancora più intrigante, la rivelazione del procuratore secondo il quale per tre volte, prima dell’esecuzione del Natale 1989, alti ufficiali delle forze armate ordinarono di eliminare la coppia Nicolae-Elena, dopo l’arresto a Targoviste. E il fatto che il procuratore militare ha spiegato che la conquista del potere sarebbe stata pianificata in anticipo. Pianificata attraverso una «disinformazione costante della popolazione, lanciata con l’aiuto della televisione e della radio di Stato, oltre che dei canali di comunicazione dell’esercito», per diffondere il panico tra la gente. Poi, il 21 dicembre, la miccia. Non furono spari quelli uditi dalla folla che ascoltava l’ultimo discorso di Ceausescu, i rumori che diedero il là alla rivolta.
Con alta probabilità, ha svelato Lazar, furono invece scoppi prodotti da un ‘macchinario’ acquistato dall’esercito romeno già nel 1987, per riprodurre colpi di arma da fuoco e l’atterraggio di paracadutisti. Ad accrescere il mistero che circonda quei giorni tragici e terribili - ma di rabbia sincera, dopo decenni di oppressione e povertà - la rivelazione del procuratore secondo il quale componenti dell’esercito sollecitarono un «intervento militare» esterno, di una Mosca ormai indebolita, proprio prima della caduta di Ceausescu. Riferimenti, quelli della procura militare, che gettano ombre sulla rivoluzione del 1989 in Romania. Che sembrerebbe di capire innescata da un colpo di Stato abilmente orchestrato, uno scenario già suggerito in passato anche sulla stampa romena.
Ombre che vanno spazzate via definitivamente, ha esortato giovedì, nell’anniversario della rivoluzione, anche il presidente della Repubblica, Klaus Iohannis, auspicando una rapida conclusione delle indagini. Ma ricordando anche gli «eroi della rivoluzione», quelli che si batterono per le strade «per la libertà e la democrazia».
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