Rinasce dopo sessant’anni il Narodni dom di Guardiella

Via libera della Regione alla ristrutturazione della Casa della cultura a San Giovanni. Progetto da 3,5 milioni. In arrivo 66mila volumi della Biblioteca nazionale slovena
Il Narodni Dom in strada di Guardiella (Lasorte)
Il Narodni Dom in strada di Guardiella (Lasorte)

TRIESTE Il Narodni dom di San Giovanni si prepara a rinascere. La giunta regionale ha approvato il 23 giugno il progetto preliminare dei lavoro di ristrutturazione. Una gestazione decennale. L’edificio di strada di Guardiella 25 è entrato a far parte fare del patrimonio della Regione il 29 ottobre 2004 «al fine di essere utilizzato, a titolo gratuito, per le attività di istituzioni culturali e scientifiche di lingua slovena» in ottemperanza addirittura del memorandum di Londra del 1954. L’edificio, dismesso da oltre cinquant’anni e in avanzato stato di degrado, è destinato ad ospitare una parte (66mila volumi) della Biblioteca nazionale Slovena (a tale scopo sarà utilizzata la vecchia sala cinematografica) oltre a una sala polifunzionale da 99 posti con affaccio sul giardino interno. All’ultimo piano avra sede l’Istituto Slori. Si tratta di mille metri quadrati distribuiti su tre piani. «L’obiettivo finale è quello di fare diventare il Narodni dom un punto di ritrovo per il rione di San Giovanni come luogo dello scambio interculturale». L’importo stimato dei lavori ammonta a 3 milioni e mezzo di euro.

L’edificio Narodni dom (“Casa del popolo” in sloveno) è stato realizzato nel 1903 quale centro culturale per ospitare attività economiche, culturali e sportive degli abitanti locali e degli altri sloveni di Trieste. Ospitava una grande sala teatrale e una ricca biblioteca. È stata l’unica casa della cultura slovena cittadina assieme al Narodni dom di via Filzi (ex Hotel Balkan) ora sede di Scuola interpreti. Il Narodni dom di San Giovanni è stato frequentato dallo scrittore Vladimir Bartol, l’autore di “Alamut”, nato in via San Cilino nel 1903. Nel settembre del 1921, a meno di un anno dal rogo del Narodni dom situato nel centro della città, i fascisti diedero alle fiamme anche il Narodni dom di San Giovanni. Restaurato dai cittadini, fu di nuovo devastato dai fascisti nel 1926.

Nel 1934 il governo ne trascrisse ufficialmente la proprietà (per 12mila lire) al fascio triestino, destinando l’immobile alle attività di circolo fascista denominato “Quis contra nos”. Un esproprio in piena regola. Subito dopo la guerra l’edificio venne usato dai circoli sloveni. Sulla facciata esterna venne apposta una lapide a ricordo dei 54 caduti del rione nella lotta di Liberazione. Nel 1949 il Governo militare alleato (Gma) trascrisse la proprietà dell’edificio a proprietà pubblica del Territorio libero di Trieste (Tlt) e la consegnò al Comune di Trieste, che vi gestì una sala cinematografica fino al 1962. Da allora l’edificio non risulta sia stato più utilizzato a parte lo spazio del cortile esterno, che ha ospitato le attività di una società sportiva.

Con l’accordo di Londra del 1954, che mise fine al Gma, lo Stato italiano si impegnò a restituire il Narodni dom di San Giovanni agli sloveni. Ma non lo fece. Non solo non rispettò i patti ma lo lasciò cadere in rovina dopo averlo utilizzato come cinematografo per una decina d’anni. Il ritorno agli sloveni diventa possibile ora dopo l’approvazione della legge di tutela della minoranza slovena 38 del 2001. Il Narodni dom si San Giovanni ha partecipato anche al censimento dei luoghi del cuore del Fai del 2012 ottenendo tre voti. «La Casa di cultura - si legge nella scheda Fai - fu devastata dai fascisti e trasformato in sede del Partito nazionale fascista, mai restituito alla collettività nel dopoguerra in poi. È un edificio storico che ha un grandissimo valore simbolico e affettivo per la minoranza slovena». Un affetto ricambiato “con calma” dall’amministrazione regionale. «Se saremo fortunati, vedremo partire la ristrutturazione entro il 2008», dichiarava l’avvocato Peter Mocnik dopo il sopralluogo avvenuto nel 2003. La fortuna, evidentemente, non c’è stata. «Dopo il sopralluogo è tornata la catena. Non vorrei si pensasse che da domani già partono le ruspe» profetizzò nel 2003 Bruno Zvech, allora capogruppo dei Ds in Regione. In fondo sono passati solo 13 anni. Neppure l’ombra ancora delle ruspe.

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