Rimborsi facili a Palazzo, Narduzzi patteggia 22 mesi

L’ex capogruppo leghista “incassa” la sentenza penale più alta per le spese pazze. Di recente è stato anche condannato in sede contabile a risarcire 155mila euro
Danilo Narduzzi in aula
Danilo Narduzzi in aula

TRIESTE. Il poco invidiabile record in sede penale, tra gli “incriminati” di Palazzo finiti nella maxi-inchiesta per le cosiddette spese pazze, spetta ora a Danilo Narduzzi. Dopo i nove e i due mesi “pattuiti” in primavera rispettivamente dall’ex presidente del Consiglio regionale Edouard Ballaman e dal suo “tour operator” Matteo Caldieraro (accusato d’avergli retto il “gioco” per consentirgli i rimborsi per viaggi che istituzionali non erano) ecco la sentenza di patteggiamento che riguarda stavolta proprio l’ex capogruppo della Lega in piazza Oberdan: un anno e dieci mesi per 138 scontrini “fuorilegge”. Corrispondono ad acquisti di varia natura tra il 2009 e il 2012, costati in totale quasi 30mila euro e recuperati interamente da Narduzzi attraverso le casse pubbliche, di cui il pm Federico Frezza contestava la natura di spese di rappresentanza per conto del gruppo consiliare. Siamo, in linea teorica, poco sotto la soglia della sospensione condizionale della pena fissata al paio d’anni che consente ai non “recidivi”, qual è Narduzzi, di scongiurare la reclusione.

 

Spese pazze a Palazzo, assolti in 18 su 22
L'aula del consiglio regionale

 

I 22 mesi patteggiati, banalizzando, costituiscono il frutto di un “accordo” fra lo stesso Frezza, il pm titolare della maxi-inchiesta che ha comunque già impugnato in Cassazione una serie di “non luogo a procedere” per altri indagati disposti in primavera dal gup Giorgio Nicoli, e l’avvocato Luca Ponti, il difensore di fiducia dell’ex capogruppo del Carroccio. La firma sulla sentenza di patteggiamento è del giudice per l’udienza preliminare Guido Patriarchi, presidente della Sezione Gip del Tribunale di Foro Ulpiano, al quale è passata la competenza sul solo capo d’imputazione, dei tre che il pm Frezza contestava in origine a Narduzzi, che proprio in primavera non era stato oggetto di assoluzione da parte dello stesso Nicoli.

Il dirigente padano, in particolare, era stato assolto in aprile da Nicoli “perché il fatto non sussiste” dall’accusa di aver avvallato come capogruppo circa 200mila euro di altri rimborsi per spese fatte dagli allora colleghi di partito Federico Razzini, Enore Picco e Mara Piccin, nonché da quella di aver consentito una consulenza affidata con i soldi della Regione all’elicotterista Paolo Iuri, legato alla stessa Piccin. Ma, a differenza della gran parte degli “incriminati”, Narduzzi non era riuscito a uscire completamente di scena, quantomeno in primo grado: doveva rendere conto del capo d’imputazione che gli restava, quello riguardante il presunto peculato su quei 138 scontrini da quasi 30mila euro in tutto su cui aveva chiesto per se stesso il rimborso.

 

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Dai sei euro pagati per un ingresso alla spiaggia delle “Ginestre” di Sistiana alle centinaia di euro spese a più riprese per l’acquisto di cosmetici da “Limoni” di via Carducci, dai 168 euro per un gioiellino a Prata di Pordenone a un pranzo di Natale da 315 euro consumato all’Azienda agricola “Sandrigo” di Monfalcone.

Risultato: un anno e dieci mesi patteggiati davanti al giudice Patriarchi, come detto. Molte di queste voci contestate dal pm, va detto, sono già state state ritenute “improprie” anche in sede extrapenale dalla magistratura contabile. Recentemente, per la cronaca, in parallelo rispetto alla sentenza di patteggiamento maturata in seno al Tribunale ordinario, la Corte dei conti del Friuli Venezia Giulia ha imposto - per la terza volta da quando esiste questo filone d’inchiesta - che Narduzzi risarcisse le casse della Regione. In questo ultimo caso la sentenza ha sfiorato i 155mila euro, a fronte di una richiesta originaria del procuratore Tiziana Spedicato superiore ai 233mila euro.

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