Riki Malva, la maschera da musica
TRIESTE. «Mi me piasi la gente fora de testa. Però in senso buono, chi cioè ha fantasia e sa mettersi in gioco». Riki Malva, al secolo Enrico Marchesi, è un paroliere e cantautore triestino. Con sei album all’attivo, è autore sia di cover sia di produzioni originali, in triestino e in italiano, che spaziano dal trash al jazz, all’hip-hop e al funk. Durante l’intervista, davanti a un paio di spritz, una prima scoperta è immediata: Riki è un gigante, innanzitutto per statura umana, oltre che artistica e fisica.
Chi è Riki Malva?
Una maschera da palcoscenico, che ripara. Sfogarsi nell’arte è meglio dello psicologo. Quando la gente m’incontra in città si aspetta che sia sempre pronto a fare battute, ma non è così. Poi sono un tipo gentile e non ho mai mandato a quel paese nessuno. Quando fai l’artista è la gente a decidere chi sei, tu puoi limitarti a fare delle proposte. Alla lunga si rischia di restare ingabbiati nel proprio personaggio.
Gli esiti sono imprevedibili...
Sì. “Vaca straca”, la parodia di “Waka waka”, ad esempio, ha raggiunto più di un milione e mezzo di visualizzazioni, tanto che è stata tolta da youtube per motivi di copyright. Ma quela iera una monada!
Ed Enrico Marchesi?
È un comune mortale che lavora, ha i suoi problemi, esce la sera. Passo il tempo libero nel miglior modo possibile, con le persone cui voglio bene. Sono anche un eterno Peter Pan.
Come nasce Riki Malva?
Dalla dissoluzione de “I scoverciai”. Malva sta per malvasia: da bambino accompagnavo mio papà in giro per baretti, e ordinava sempre “un malva”: che ricordi! Riki è Enrico, inoltre Riki Malva ha una certa assonanza con Ricky Martin, che andava di moda all’epoca, anche se io sono più bello e modesto. “Capitolo 1”, autoprodotto, è del 2005; seguono “Lupi del Caos”, “Reggaestin”, “A Trieste”, “Xè la fin del mondo” e “Capitolo 6”. Nel 2013 la grande occasione con la casa discografica triestina Panduro Records: esce “Kraputnik”, non più parodie ma canzoni originali, scritte con l’amico e socio Theo La Vecia. Due anni dopo è la volta di “Wisdom wisdom, wisdom”.
Saggezza saggezza saggezza?
Questa xè bela. In “Funktasmi” il fantasma di James Brown mi costringe a cantare in inglese. Data la mia pessima pronuncia, durante la registrazione del pezzo in studio mi hanno messo in mano un pacchetto di Winston per farmi leggere ad alta voce. Ma io riuscivo solo a ripetere “uisdom, uisdom, uisdom”. Mi hanno preso in giro per mesi, finché è diventato il nome del disco successivo.
E la produzione in lingua?
Scrivo canzoni e poesie che nessuno leggerà mai, cose personali, che faccio per me. Oltre a ciò, io e Theo abbiamo lanciato nel 2013 il singolo “L’Italia che ci piace”, una canzone critica. Abbiamo ricevuto lamentele, c’è stato chi si è detto deluso. I triestini dovesi eser de mentalità più aperta.
Qual è lo spirito del tuo lavoro?
Quello di una signora di ottantasei anni che mi hanno presentato poco fa: era aggiornatissima a oggi, “sul pezzo”, come si dice. Bisogna coltivar el morbin, quel bel. Che non significa imbriagarse e basta. Quel xe eser alcolizai.
Progetti per il futuro?
Io, Theo La Vecia, Flavio Furian e Maxino stiamo lavorando tutti assieme a… una sorpresa. Non anticipo cosa. Sono contento perché segna la fine del mio blackout artistico degli ultimi due anni.
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