Riforma sanitaria, la maggioranza fa dietrofront. Savino all’angolo
TRIESTE Non erano tutti d’accordo. Forza Italia, in particolare, ha insistito per la discontinuità promessa in campagna elettorale. Lo ha fatto con Sandra Savino, fino all’ultimo. Ma il confronto con gli operatori e i sindacati, quella campagna d’ascolto diventata mantra dopo il lavoro dei saggi, ha fatto infine optare per la riforma “soft”, quella che tiene uniti aziende ospedaliero-universitarie e territorio ed è quindi meno impattante sul sistema ma, a sentire Riccardo Riccardi, «non meno rivoluzionaria».
L’assessore regionale alla Sanità non si sente sconfitto. Sa bene che nel programma elettorale è scritto, nero su bianco, l’impegno a «separare la gestione sanitaria delle grandi realtà ospedaliere da quella del territorio». Un impegno non mantenuto davanti all’elettorato e una porta aperta per le critiche del Pd che, su quel passaggio chiave della riforma di quattro anni fa, era stato impallinato ripetutamente dall’opposizione. Ma Riccardi sa anche di non essere stato il solo a sostenere la tesi della separazione. Perché nel documento pre-elettorale che unisce il centrodestra ci sono le firme della Lega, Massimiliano Fedriga in testa, di Fratelli d’Italia, di Progetto Fvg e di Autonomia responsabile, non solo quella di Fi.
E dunque, il giorno dopo la sintesi della maggioranza, al termine di un vertice in cui non sono mancate le scintille, Riccardi ammette che sì, avrebbe voluto un finale diverso, e quindi la separazione tra ospedale e territorio, come del resto aveva sostenuto in aula, da capogruppo di Fi, ribattendo a chi l’aveva preceduto, Maria Sandra Telesca: «Che cosa succederà quando governeremo noi? Semplice, il contrario di ciò che sta accadendo ora». Ma se pure non è andata così, non del tutto, la convinzione del vicepresidente è di avere comunque posto le basi per una svolta. Il risultato finale, afferma, «è un grande passo avanti rispetto a quando prodotto dal centrosinistra. Fa anzi sorridere - ribatte a stretto giro alle dichiarazioni del fronte opposto - sentire Debora Serracchiani sostenere che si è imposto il loro modello di riforma».
La partita è così decisiva per la legislatura che i presenti all’intesa di giovedì sera glissano sul dietrofront all’ultima curva e si concentrano a loro volta più sull’esito finale che non sul come ci si è arrivati. Perché un conto è stare all’opposizione, un altro governare. E dopo che i saggi hanno costruito due possibili modelli di governance, uno “hard” e uno “soft”, sia Fedriga che Riccardi, pur preferendo il primo al secondo, hanno mantenuto equidistanza nelle ultime settimane, quelle dedicate all’ascolto. Ed è stato proprio l’ascolto che ha convinto il centrodestra a dimenticare quanto promesso nel programma e a prendere atto che gli addetti ai lavori, ultimi i sindacati nell’appello estremo di pochi giorni fa, chiedevano che ospedale e territorio non venissero separati.
Un ritorno alla situazione precedente alla legge Serracchiani-Telesca avrebbe infatti stressato chi, in sanità, ci lavora quotidianamente. «L’ipotesi di una separazione netta tra Aziende sanitarie e territoriali avrebbe portato alcuni benefici - dichiarano in una nota presidente e assessore - ma, dopo un'analisi dettagliata della situazione, è prevalsa la volontà di non aumentare la pressione su un sistema che negli ultimi anni ha già subito una profonda ristrutturazione, i cui effetti non sono ancora stati del tutto metabolizzati».
A cambiare idea rispetto all’accorpamento ospedale-territorio è stata di fatto l’intera maggioranza. Non Savino, che avrebbe voluto ribaltare la legge 17 del 2014. Ma la via della prudenza non dispiace per esempio a Piero Camber: «Non è una nostra sconfitta, tutt’altro. Abbiamo cercato di cambiare il meno possibile pensando al cittadino, ma abbiamo comunque avviato una reimpostazione che garantirà efficienza e restituirà ai medici obiettivi di crescita nel territorio, riducendo il fenomeno della fuga fuori regione».
D’accorso sull’opportunità di fare un passo indietro anche Fabio Scoccimarro di Fdi: «Avremmo preferito la separazione, ma si è preferito assecondare le richieste di operatori e sindacati». Sulla stessa linea Ferruccio Saro di Progetto Fvg: «Disfare tutto una volta ancora avrebbe creato complicazioni di ordine burocratico, informatico, di bilancio, di gestione. Meglio far dialogare i territori». E Giulia Manzan di Ar: «Prendiamo atto che la logica dell’ascolto ha prevalso sul programma».
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