Riforma elettorale, maggioranza a rischio
TRIESTE. La legge della giunta sul limite del secondo mandato per i sindaci si trasforma in un vicolo cieco. Dove l’esecutivo Serracchiani rischia di non uscirne indenne: la maggioranza, per la prima volta da quando si è insediata, potrebbe andare sotto con i numeri. In aula l’assessore Paolo Panontin, l’autore della norma «che ha fortemente voluto la presidente per seguire quanto indicato in campagna elettorale e nelle linee programmatiche», si scontra non solo con le barricate dell’opposizione, sempre più alte, ma pure con la contrarietà di una parte del centrosinistra. Da Mauro Travanut ed Enzo Marsilio (Pd) e da Giulio Lauri (Sel), ad esempio, sono già arrivate critiche pubbliche al provvedimento. Ma ci sarebbe un’altra fetta di democratici, per ora nel silenzio, pronta a riservare sorprese. La bocciatura all’articolo, il numero 4, cioè quello che stabilisce il tetto per i primi cittadini, è dietro l’angolo. Sarà M5S l’ago della bilancia, ma la capogruppo Elena Bianchi ha già annunciato un voto contrario nel caso non venga accolto un emendamento del suo gruppo: una norma, quella dei grillini, in realtà ancora più restrittiva perché propone di estendere il paletto dei due mandati ai sindaci in “assoluto” e non solo in modo consecutivo. Questo affinché un amministratore di un Comune non possa proprio più ricandidarsi. I segnali che qualcosa sarebbe potuto andare storto, ieri, sono stati molteplici. Il centrodestra, ormai ricompattato, oltre a presentare una valanga di emendamenti (292), si è reso protagonista di vari e, non casualmente, lunghi interventi di opposizione. A metà pomeriggio anche un tentativo, poi non riuscito, di far mancare il numero legale con l’uscita dall’aula di tutta la coalizione. Ma è stato Riccardo Riccardi a scatenare verso sera lo scompiglio sulla legge dopo un botta e risposta con i grillini. L’ex assessore ha fatto notare la “debolezza” del testo che, così redatto, non vieta a un sindaco di presentarsi in altri Comuni. I pentastellati, a quel punto, hanno accusato la giunta di preparare “finte riforme” minacciando il voto contrario in caso di bocciatura del proprio emendamento. Buona parte della giornata se n’è andata tra le polemiche. Con Renzo Tondo, innanzitutto, che dietro al tetto dei due mandati vede «la volontà di demolire la politica». Al leader del centrodestra ha risposto il capogruppo dei Cittadini Pietro Paviotti, convinto che una «comunità che non riesce a fare il ricambio è una comunità malata». Anche l’assessore Paolo Panontin ha preso la parola prima dell’esame dell’articolato, rilevando «che dopo due mandati un sindaco ha dato il meglio di sé. Il blocco che si qui si vuol fare è per evitare che troppe personalità politiche si affaccino in Consiglio». Prima ancora era stato Riccardi ad attaccare la giunta: «Il ricambio della classe dirigente non si fa per legge». Quindi Travanut (Pd): «La legge è del tutto ingiustificata – ha detto rivolgendosi ai banchi dell’esecutivo – la norma sui sindaci mette in difficoltà tutto il pensiero politico del centrosinistra e azzera l’impostazione politica di Illy». Così Marsilio: «Gli elettori sono in grado di scegliere e mandare a casa chi non va bene, non serve una norma». Le critiche di Sel, per voce di Giulio Lauri, si sono concentrate invece sulla decisione di limitare alla domenica le operazioni di voto nei Comuni. «Anche chi lavora in un cento commerciale ha il diritto di andare a votare», ha sottolineato. Dal capogruppo dei democratici Cristiano Shaurli il tentativo di rimettere insieme i cocci: «L’obiettivo del Pd – ha osservato – è quello di regolamentare la riforma della legge elettorale in maniera uniforme. La riforma introdotta dalla vecchia maggioranza di centrodestra – ha continuato – è stata fatta nella notte, accontentando i sindaci sui tre mandati, ma ponendo la questione dell’incandidabilità e senza alcuna condivisione con i Comuni». ©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo