Rifiuti pericolosi in Serbia un affare da 8 miliardi
BELGRADO. Per aspirare a entrare nel club più ambito, quello dell’Unione europea, la Serbia deve portare avanti importanti riforme e soprattutto lanciare il cuore oltre l’ostacolo siglando, il prima possibile, un accordo finale per la “normalizzazione” dei rapporti con il Kosovo. Ma per Belgrado, prima dell’adesione, c’è anche un altra questione, forse poco conosciuta e sottostimata ma non per questo meno ardua da risolvere: è quella dello smaltimento dei rifiuti, sia domestici, sia industriali, e dunque della protezione ambientale in generale. Ed è un fronte che diventerà caldo nei prossimi anni e costerà molto alle casse di Belgrado: almeno otto miliardi di euro, nella stima dello stesso governo.
A tenere alta l’attenzione sul tema, alcune notizie che hanno molto colpito l’opinione pubblica in questo periodo. Notizie come quelle sulle «centomila tonnellate di rifiuti pericolosi e non adeguatamente custoditi», secondo le stime di Miodrag Mitrović, presidente dell’azienda Miteko, una delle imprese leader nel Paese nel management dei rifiuti industriali e più nocivi per l’ambiente.
Tonnellate che sono composte «da sostanze chimiche» velenose, che «da anni sono ammassate», spesso in «condizioni non idonee, in particolare nei «capannoni di imprese fallite», senza contare poi «i terreni contaminati». In occasione di un forum sulla protezione ambientale, Mitrović ha ricordato anche che sono almeno 88 «le località con inquinamento storico» a causa di rifiuti pericolosi, identificate dalle autorità del Paese balcanico, che sono però riuscite finora a intervenire solo su nove di esse.
Ma non ci sono solo queste stime a far paura. Incutono, se possibile, ancora più timore notizie come quelle arrivate nei giorni scorsi da Obrenovac, città a un tiro di schioppo da Belgrado, dove le forze dell’ordine hanno scovato, in un appezzamento privato, almeno 25 tonnellate di rifiuti chimici altamente tossici, stoccati illegalmente in vecchi fusti da un imprenditore senza scrupoli. E ieri il quotidiano belgradese Vecernje Novosti ha annunciato la scoperta, sempre nello stesso terreno, di altri «cento barili» pieni di sostanze chimiche velenose, con alta probabilità scarti industriali. Che non si sia trattato di un ritrovamento di poco conto è confermato dalle dichiarazioni del ministro dell’Ambiente, Goran Trivan, che ha apertamente parlato di rifiuti che avrebbero potuto provocare una «catastrofe ecologica». Che almeno stavolta è stata scongiurata. Ma non ci sono solo scarti industriali pericolosi.
In Serbia, Paese che non è un’eccezione nella regione, i rifiuti cittadini continua a essere “smaltiti” attraverso lo schema «raccolta-trasporto in discarica», mentre il riciclaggio non tocca l’8% a livello nazionale. E lì il terreno su cui si deve lavorare al massimo, spiega l’esperto ambientale Dusan Jakovljević, citando numeri che non mentono. Per quanto riguarda i rifiuti comunali, sono «142 i depositi» di rifiuti a livello nazionale, solo otto quelli che «rispettano gli standard Ue». E, anche se le stime ufficiali riferiscono di 3.000, almeno dieci volte tante sono le discariche illegali. Per mutare il quadro e avvicinarsi all’Ue servono «due miliardi di euro e dieci anni, nell’ipotesi migliore». Ma bisogna fare più in fretta, altrimenti l’apertura e chiusura del capitolo negoziale numero 27, quello sull’ambiente, e di conseguenza l’adesione alla Ue diventeranno chimere.
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