Ricoveri impropri, al via la schedatura preventiva
Ci guardano “dentro” di più, prima, e meglio per sapere se siamo stati giustamente ricoverati in ospedale o no. Se abbiamo bisogno di medici e assistenza a casa. Se l’ospedale ci ha dimessi prima che fossimo risanati. Una commissione formata da specialisti di Pronto soccorso e dei distretti territoriali, da infermieri, dalla Direzione regionale dell’assessorato alla Salute, con un arbitro “super partes”, sta studiando caso per caso la storia di pazienti triestini burocraticamente diagnosticati “ricovero improprio”. Arbitro è il prof. Silvio Brusaferro, specialista in Igiene e medicina preventiva dell’Università di Udine ma anche responsabile della valutazione delle “performance” dell’Azienda ospedaliera udinese oltre che membro del Consiglio superiore di sanità del ministero e delegato della Regione al Comitato tecnico nazionale sulla sicurezza del paziente. Si chiama “audit” e l’hanno organizzato le due Aziende. Una cartella clinica dopo l’altra il gruppo studia anche le “dimissioni inappropriate”. Quei casi cioé dove l’ospedale, magari per tenere a posto le statistiche, ha rimandato a casa troppo presto un malato causandogli una ripetizione di ricovero: 632 casi nel 2012, con varie motivazioni naturalmente. Sono 2000 ricoveri “ripetuti” all’anno. E forse si possono in parte evitare.
È il primo, ma non il solo, risultato di una novità che sarebbe dovuta essere da tempo “normalità”. «L’Azienda ospedaliera e l’Azienda sanitaria finalmente dopo tante frizioni si parlano sul serio» annuncia il direttore dell’Ass1 Fabio Samani. E anche (novità assoluta?) si ascoltano, dopo infiniti episodi di accuse e controaccuse. Ospedali pieni. Pazienti fuori reparto. Troppi anziani ricoverati e troppi “codici bianchi” (malanni lievi) in Pronto soccorso.
La seconda novità è che tutti noi, dopo aver firmato il nuovo “consenso al trattamento dei dati sensibili”, e cioé il foglio sulla “privacy” che verrà tradotto adesso in “file” informatici, non appena varcato l’ingresso dell’ospedale per un ricovero saremo subito schedati e studiati. «Facendo subito correre via computer le cartelle cliniche - annuncia Samani - si cambia sistema: non più un controllo sui motivi delle dimissioni, ma sui motivi per cui in ospedale si è entrati. I dati clinici li avremo al momento dell’accettazione, per allestire in tempo un ricovero breve, con assistenza continuativa “da territorio a territorio”. Non medicalizziamo l’età anziana: l’anziano appena superata la fase acuta sarà preso in carico dal distretto. Ci stiamo attrezzando».
Samani esclude perentoriamente, però, che il Pronto soccorso diventi meno affollato (salvo i deprecabili e ancora numerosi casi di disidratazione nelle case di riposo, incuria da debellare): «Sarà sempre così - afferma -, un polso rotto, una ustione, un corpo estraneo nell’occhio, tutti problemi seri anche se non da ricovero e cioé “codici bianchi”, andranno sempre e solo a Cattinara, al suo Pronto soccorso». Seconda affermazione netta: «Ambulatori in città per queste cure? Lo escludo nel modo più assoluto. Non bisogna “periferizzare” la risposta sanitaria. Perfino da Muggia e da Duino Aurisina in 15 minuti si arriva a Cattinara». Piuttosto Samani vuole sfruttare di più le Microaree sparse in città per intercettare il bisogno inespresso di cure e di assistenza, andandogli incontro: «Con più soldi, più assistenza domiciliare. Ma i tagli finanziari non hanno comportato taglio di utenti: ci siamo solo concentrati sui casi più complessi».
Di fronte a un carico burocratico «che sta ammazzando i risparmi senza produrre risultati” (ammette il direttore), per esempio il coordinamento con Gorizia-Monfalcone «che finora è una riforma a metà e non ha prodotto risultati di organizzazione sanitaria», Samani fa anche un’autocritica: «In Azienda sanitaria ci sono ancora informazioni cliniche frammentate, e non soltanto a causa del sistema informatico che fa girare solo “pezzi” di storia del paziente: ci si concentra più sul proprio servizio che sulla centralità della persona. Accade che infermieri e riabilitatori vadano a casa dallo stesso paziente ma senza sapere l’uno dell’altro».
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