Richiesta di dissequestro rigettata. Calcestruzzi di Romans nel limbo

A rischio 24 posti di lavoro. Spunta l’incidente probatorio per dimostrare che l’impianto è a norma
I mezzi fermi della Calcestruzzi Trieste nel sito accanto al fiume Torre a Romans
I mezzi fermi della Calcestruzzi Trieste nel sito accanto al fiume Torre a Romans

ROMANS Il collegio giudicante del Tribunale del Riesame, presieduto dal magistrato Barbara Gallo, ha confermato il sequestro preventivo sugli impianti (due tramogge e una vasca di scarico) della Calcestruzzi Trieste srl di Romans. Il decreto sulla misura cautelare era stato emesso lo scorso 7 agosto dal gip Carlo Isidoro Colombo e trasmesso dal sostituto Valentina Bossi ai carabinieri del Noe di Udine, che l’avevano eseguito cinque giorni dopo. Rigettata, dunque, la richiesta di riesame avanzata da Pierluigi Fabbro, il legale dell’azienda dove trovano occupazione 24 lavoratori. L’impianto rimane di fatto “congelato”, pur se gli addetti al rientro dalle ferie hanno ripreso le mansioni a regime ridotto, occupandosi cioè delle manutenzione e del solo prelievo di ghiaia (esclusa la triturazione), cioè senza l’impiego dell’attrezzatura oggetto di provvedimento.

Area di un’impresa triestina sotto sequestro a Romans
Bumbaca Gorizia 23-05-2019 Versa cava © Fotografia di Pierluigi Bumbaca


In sintesi, nell’ordinanza, il collegio giudicante (oltre a Gallo, i magistrati Concetta Bonasia e Laura Di Lauro) rileva come non rientri nelle sue funzioni stabilire se il contestato impianto debba considerarsi una vasca di scarico non autorizzata, come sostenuto dalla Procura a seguito dell’apertura di un fascicolo, oppure, nelle tesi della Calcestruzzi, un «circuito virtuoso» in grado di ripulire la ghiaia estratta e riciclare l’acqua impiegata nei lavaggi. Punto peraltro nodale della questione. Tuttavia, in presenza del cosiddetto fumus giuridico, cioè la presunzione dell’esistenza di sufficienti presupposti, il sequestro va mantenuto. È stato rilevato infatti che l’azienda aveva pur richiesto autorizzazioni allo scarico, dunque non sarebbe da considerarsi un circuito chiuso, ad avviso dei magistrati. Inoltre alcune prescrizioni della Medicina del lavoro non si sono ottemperate e finché non lo saranno l’impianto, per i giudici, non può ritenersi conforme.

Area di un’impresa triestina sotto sequestro a Romans
Bumbaca Gorizia 23-05-2019 Versa cava © Fotografia di Pierluigi Bumbaca


A questo punto, un ricorso in Cassazione richiederebbe almeno 6 mesi. Così, a fronte della preminente necessità della ripresa lavorativa, al fine di garantire l’occupazione a 24 famiglie, per l’avvocato Fabbro si prospetta una sola strada: la richiesta di incidente probatorio, per risolvere il nodo vasca. Infatti l’istanza sarà formalizzata al gip tra oggi e domani. «Ci sono le condizioni per disporlo, altrimenti si rischia di recare pregiudizio a questi lavoratori», afferma l’avvocato.

Multa da 12 milioni di euro ai produttori di calcestruzzo


Un primo sequestro, ai fini probatori, era scattato già nel maggio 2019, quando i Noe lo avevano eseguito su un’area 20 mila m² e su uno stoccaggio, ritenuto illecito, di 30 mila m³ di materiale per l’edilizia, rifiuto inerte depositato in zona con vincolo paesaggistico, prossima all’argine del Torre. Ma lo scorso agosto, al termine dell’attività investigativa, i sigilli sono stati apposti sugli impianti, sicché l’attività della Calcestruzzi, operativa a Romans e con una sede nel capoluogo regionale, da decenni impegnata nel ciclo del cemento, ma con autorizzazioni nella raccolta di rifiuti, si è in gran parte paralizzata. La misura cautelare ha tratto fondamento dalle «approfondite indagini» condotte a partire dal 2019, dopo un controllo sulla verifica del rispetto delle autorizzazioni in possesso e rilasciate da autorità competenti.

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Già in quel primo frangente si assunsero misure per «evidenti infrazioni alle norme ambientali», in riferimento ai citati 30 mila m² di rifiuti irregolarmente accatastati. L’accesso dei militari aveva dato il la a verifiche su altri aspetti che, data la complessità, avevano richiesto maggiore approfondimento. Al termine degli accertamenti, sfociati nella richiesta del pm di sequestro dell’intero impianto, oltre all’esistenza di una «discarica abusiva» di inerti e alla «gestione illecita di rifiuti», fu riscontrata la presenza di una vasca di raccolta delle acque reflue di dilavamento priva di autorizzazione allo scarico. E «numerosissime criticità in materia di sicurezza sul lavoro riscontrate dall’Azienda sanitaria», tra cui «la mancata revisione di alcuni macchinari, l’assenza del documento di valutazione dei rischi e l’inadeguatezza dell’impianto antincendio».

Le indagini, coordinate dalla Procura isontina, hanno svelato «un gravissimo quadro di plurime violazioni delle norme in materia ambientale e di prevenzione degli infortuni» che ha indotto un mese fa ad avanzare richiesta – «pienamente avallata» dal gip – di sequestro preventivo degli impianti alla Calcestruzzi. –

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