Restano in tre a bordo della Al Filk sotto sequestro a Monfalcone. E lo stop è un’incognita per lo scalo

La nave è ormeggiata in un punto meno strategico ma in futuro potrebbe incidere sull’operatività
Tiziana Carpinelli
La portacontainer all’accosto 1, ferma dall’8 febbraio a Portorosega. foto Bonaventura
La portacontainer all’accosto 1, ferma dall’8 febbraio a Portorosega. foto Bonaventura

MONFALCONE Tanto si è già scritto della Al Filk, la nave battente bandiera tanzaniana che dall’8 febbraio è detenuta a Portorosega. Ma le probabilità che la portacontainer con il record pressoché nazionale di deficienze riscontrate – sessantuno – prenda il largo dall’oggi al domani paiono remote. E così, se non nell’imminenza, sul medio e lungo termine gli operatori si pongono interrogativi sul recupero della piena operatività degli accosti allo scalo marittimo, che per estensione non è quello di Gioia Tauro, anzi proprio a un recente convegno del Propeller è emersa l’impellenza, davanti ai conflitti e allo spostamento dei traffici su tratte di navigazione più estese, quindi con scafi più lunghi, di procedere speditamente verso l’allungamento della banchina.

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La Al Filk detenuta da febbraio

Nel frattempo, come informa Paolo Siligato (Filt-Cgil), ispettore Itf, il sindacato internazionale dei marittimi, altri quattro addetti georgiani, gli ultimi arrivati, hanno preso il volo, cioè «a spese della propria famiglia sono stati rimpatriati e cercheranno con ogni probabilità a Istanbul di rifarsi delle spese sull’armatore, con chissà quali esiti».

Sicché a bordo, della quindicina di uomini inizialmente a comporre l’equipaggio sono rimasti «in tre», cioè «il primo ufficiale di nazionalità siriana che ha l’esigenza di rientrare in Finlandia per la regolarizzazione della cittadinanza a lungo attesa, il direttore di macchina libanese e il nostromo egiziano».

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Katia Bonaventura

Frattanto «pure il nuovo armatore disposto a subentrare si sarebbe volatilizzato, forse perché messo più specificatamente al corrente della situazione» e dunque «l’auspicato cambio di equipaggio con nuovi nove addetti resta in standby». L’armatore turco «alle mie chiamate non risponde e mi risulta poco in contatto anche con la Capitaneria e l’agenzia».

«Una nave in queste condizioni – sempre Siligato – e con soli tre uomini a bordo pone pressante il tema della sicurezza, quindi forse bisognerà iniziare a pensare a come disarmare la Al Filk. Io, alla Capitaneria, la questione l’ho posta».

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La Al Filk all’accosto 3. Katia Bonaventura

L’ultimo rifornimento di gasolio è avvenuto a fine giugno e quindi perlomeno qui c’è una situazione di relativa tranquillità. Da viale Oscar Cosulich, s’è appreso, un paio di giorni fa, che le circostanze vengono monitorate attraverso le ronde dei nostromi. Inoltre, essendo ferma e inoperosa, la portacontainer rappresenta livelli di rischio abbastanza bassi.

Quanto allo stallo, oltre al fermo amministrativo è sempre pendente un sequestro penale. E gli operatori? Capitan Gian Carlo Russo (Fhp), ad di Cpm, insiste sul fattore umano, cioè il “salvataggio” dei marittimi rimasti, fermo restando che «all’armatore andrebbe inflitta una tirata d’orecchi».

«Va trovata una soluzione con le autorità – rileva – è vero che per ora la nave non impatta, ma se si affacciassero di nuovo le crociere la congestione sarebbe maggiore e l’occupazione dell’accosto inciderebbe. È chiaro quindi che un accomodamento va trovato».

Concorde Mitter Mandolini, presidente dell’Impresa Alto Adriatico: «È un dato di fatto che ci sono meno metri operativi di banchina a disposizione. L’occupazione dell’accosto 1, con fondali più bassi, è quella che crea pochi impicci. È un problema meno sentito rispetto a quando i traffici erano più intensi, infatti capita di avere 10 giorni di scarico e poi altri 20 in cui c’è di tutto, ma nel momento in cui il mercato riprenderà la situazione desterà senz’altro problemi».—

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