Caso Resinovich, le negligenze e i ritardi secondo l’avvocato del fratello di Liliana

Per il team Cattaneo si è trattato di soffocazione diretta esterna.

Laura Tonero
Liliana Resinovich ritratta dal marito
Liliana Resinovich ritratta dal marito

«Asfissia meccanica prodotta da terzi. Soffocazione diretta esterna». Sono queste parole che il team diretto da Cristina Cattaneo usa nella sua consulenza medico legale sulla morte di Liliana Resinovich, depositata lo scorso 28 febbraio alla Procura di Trieste.
Martedì i legali dei familiari di Lilly hanno potuto leggerle per la prima volta.

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Liliana Resinovich ritratta dal marito

La dura reazione dell’avvocato Gentile


Dura la reazione dell’avvocato Nicodemo Gentile, presidente di Penelope, e legale del fratello di Liliana, che da tre anni sostiene la donna non si sia tolta la vita.

«Come si suol dire "il diavolo fa le pentole ma non le lesioni. La verità dimezzata del suicidio, quella comoda via di fuga che avrebbe sanato evidenti vuoti di un' indagine imperfetta, iniziò a serpeggiare già la tarda serata del 5 gennaio 2022, infatti, in un atto degli operatori si legge anche"suicidio presunto”. Questo quando il corpo era stato traslato in obitorio ma non sottoposto ad un' analisi esterna con la calma necessaria e con le luci adeguate».


E ancora: «Quella "squilibrata" della Resinovich o se si preferisce il "rifiuto umano" veniva quindi trasferito in via Costalunga e soltanto il 10 gennaio, dopo avere eseguito una Tac giorno 8, finalmente, il sacco mortuario veniva aperto e iniziava sul cadavere e sull' abbigliamento l' ispezione della polizia scientifica. Gli operatori, dopo aver ultimato i festeggiamenti, godendosi anche l' Epifania, soltanto dopo 6 giorni dal ritrovamento del corpo, procedevano all' autopsia».

Le negligenze


Poi il duro attacco di Gentile, che metterebbe in evidenza alcune negligenze: «Nel frattempo, sacchi trasparenti, cordino e sacchi neri, cioè i reperti più importanti e cruciali, dopo essere stati tolti e tagliati dal viso di Lilli, venivano conservati, ammassati tra di loro, creando una sorta di yogurt sotto il capo della sfortunata donna per ben 5 giorni, contaminando insanabilmente questi fondamentali elementi e facendo perdere in modo definitivo tante informazioni».
La reazione dell’avvocato continua così: «Nonostante ciò, sul viso della donna, già
all' atto di quello striminzito sopralluogo, effettuato senza acquisire nessuna temperatura (il medico legale non aveva neanche il termometro con sé, movimentando e spostando addirittura il cadavere) qualcuno, riesce a individuare sulla tempia di Liliana" una sepa" cioè, in dialetto triestino, una botta, un livido. Sara' una caduta, così, nella leggenda del boschetto, verranno successivamente giustificate tutte le altre lesività riscontrate e tutti gli altri elementi che contrastavano in modo evidente con una morte come conseguenza di un gesto estremo. Liliana si era suicidata, mentre tutti i protocolli operativi d' intervento di base sulla scena criminis erano stati violati da comportamenti fatui e senza cautele.
Da quel giorno, in questi oltre tre anni complessi e dolorosi, tante, anzi tantissime le versioni, opinioni, teorie, ipotesi, tesi su quanto successo. Diceva mio padre che "non puoi impedire alle persone di parlare, ma puoi decidere però chi ascoltare", e, così noi, unico gruppo di lavoro, che in modo tecnico e formale, rappresenta parte dei familiari, abbiamo deciso di ascoltare, esclusivamente i nostri qualificati tecnici e la voce che saliva dagli atti del fascicolo».
Ora sono arrivate anche le parole del team di esperti della Procura, che parla appunto si asfissia meccanica, di soffocazione esterna.

«Nella leggenda del boschetto è mancato purtroppo il coperchio – così l’avvocato Gentile - perché la verità spesso si difende da sola, perché la verità spesso è sempre e solo una questione di" botte"».

Gentile poi rivolge un pensiero a Lilly: «Cara Liliana, donna mite e perbene, suicidata frettolosamente, promessa mantenuta e ora si riparte perché dobbiamo dare un nome al balordo o ai balordi che ti hanno fatto del male e che, pensavano di poterla fare franca».

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