Regione, un benzinaio su tre a rischio chiusura
TRIESTE. Sono destinate a ridursi di un terzo le circa 450 pompe di benzina del Friuli Venezia Giulia. Diventeranno 300 nel giro di qualche anno, davanti alla necessità di ridurre i costi di trasporto e distribuzione del carburante, in un settore già martoriato dai livelli delle accise e dalla vicinanza del confine.
La previsione è emersa ieri, nel corso del Comitato per la legislazione, durante il quale il direttore del Servizio energia della Regione, Sebastiano Cacciaguerra, ha tracciato il quadro della situazione. La contrazione dei consumi è in linea con la progressiva diminuzione dell’utilizzo di benzina, passata dai 616 milioni di litri del 2002 ai 255 del 2015.
Una tendenza che si confermerà in futuro, secondo previsioni nazionali, sebbene il calo più drastico si sia verificato nel 2008, quando sono venuti meno in Friuli Venezia Giulia i contingenti di “zona franca”. Fino al 2007 il calo dei consumi di benzina è stato compensato dall’aumento di quelli di gasolio: dai 155 milioni di litri del 2002 ai 381 del 2007, poi rimasti costanti, in un quadro che segna comunque la diminuzione rispetto al passato del ricorso complessivo ai due combustibili.
Le agevolazioni regionali incidono sulle scelte di consumo. In Area 1, quella dove lo sconto è di 21 centesimi per la benzina e 14 per il gasolio, i consumi di benzina agevolata sono il 40% del totale, in una zona che comprende 149 comuni e 650mila residenti fra Trieste, il goriziano e pezzi importanti di Friuli. In Area 2, dove il ribasso è rispettivamente di 14 e 9 centesimi, i consumi scendono a un terzo. Il gasolio agevolato copre a sua volta il 26% delle erogazioni dell’Area 1 e il 33% dell’Area 2.
E mentre l’uso della benzina si riduce, la Regione cerca di attrezzarsi davanti alle novità, ad esempio utilizzando i 20 milioni messi a sua disposizione da Roma nel 2016, per rafforzare la presenza di colonnine per la ricarica di veicoli elettrici. Valgono poi 500mila euro i fondi regionali stanziati per portare da 5 a 10 i distributori di metano, partecipando alla spesa di 350mila necessaria per ogni nuovo impianto.
L’impegno è tuttavia decisamente sottodimensionato rispetto a quanto speso nel 2015 dalla Regione per l’agevolata: 44 milioni di euro, 32 per la benzina e 12 per il gasolio. Il tutto a vantaggio di 682mila detentori di tessera, 480mila per la benzina e 202mila per il diesel: lo sconto medio pro capite è stato di 74 euro in Area 1 e 53 in Area 2.
La misura è finita nel mirino dell’Europa, con una procedura di infrazione che potrebbe portare al deferimento dell’Italia alla Corte di giustizia, per violazione delle norme sulla tassazione dei prodotti energetici. La Regione ha deciso di resistere e anche ieri la scelta ha incassato il pieno appoggio di tutti i rappresentanti politici presenti, che hanno allo stesso tempo rilevato la necessità di ripensare la misura vigente.
Per Franco Codega (Pd), «la tessera intercetta un’esigenza sentita: giusto resistere». Riccardo Riccardi (Fi) è dello stesso parere: «Il nodo riguarda la difesa di specialità e fiscalità di vantaggio». Diego Moretti (Pd) ha riconosciuto a sua volta che «la norma attuale non genera vero vantaggio competitivo per il cliente: serve una modifica, perché gli operatori in prossimità del confine stanno in piedi a fatica».
Alessandro Colautti (Ncd) cerca la soluzione nel sistema precedente: «Resistiamo per difendere non un privilegio ma la nostra flessibilità fiscale. La misura attuale non frena tuttavia l’esodo oltreconfine: ragioniamo allora su una fascia territoriale stretta, a ridosso della frontiera, con un vantaggio più forte per i residenti».
Stefano Pustetto (Sel) si è chiesto però «se è possibile tornare al passato», ricordando che anche il vecchio assetto era stato contestato da Bruxelles e quindi modificato. Cacciaguerra ha invitato alla calma: «Finché la procedura di infrazione è in atto, abbiamo margini di manovra limitati. Difendiamoci, aspettiamo gli esiti e poi faremo le modifiche: un nostro intervento potrebbe oggi essere interpretato dall’Ue come tentativo di eludere la procedura e farci incorrere in un secondo provvedimento parallelo».
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