Regione, prosciolti dalle spese pazze, il giudice spiega il perché

Nelle motivazioni della sentenza su sei tra ex e attuali consiglieri regionali evidenziata la «commistione» fra gestione privatistica e interesse pubblico
L'aula del Consiglio regionale
L'aula del Consiglio regionale

TRIESTE La gestione privatistica del denaro relativo ai rimborsi delle “spese pazze” ai consiglieri regionali e quella di natura pubblica: due parametri di fatto inconciliabili e soprattutto mai chiariti e definiti.

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Giorgio Nicoli

Ecco perché il giudice Giorgio Nicoli - che ha depositato la corposa (160 pagine) motivazione della sentenza - ha prosciolto - al termine dell’udienza preliminare dello scorso 19 aprile - sei tra ex e attuali inquilini del palazzo. Sono Elio De Anna (Pdl/Fi), Daniele Gerolin (Pd), Mara Piccin (Misto) e poi Roberto Asquini, fino al maggio del 2013 capogruppo del Misto, Enore Picco (Lega) e Federico Razzini (Lega).

Nicoli nella motivazione parla chiaro anche per placare la bufera delle polemiche innescata dalla sua decisione ma anche, evidentemente per mettere le mani avanti in vista del ricorso in appello - per ora solo nelle intenzioni - del pm Federico Frezza.

«Questo giudice - scrive Nicoli - ritiene che quasi tutte le disarmonie emerse siano derivate dall’ambivalenza del sistema fondato su una insostenibile commistione tra criteri di gestione privatistica ineludibilmente previsti per decisioni di spesa afferenti le scelte dell’attività politica individuale dei componenti dei gruppi e possibili valutazioni successive di tale gestione fondate su criteri di inerenza all’interesse pubblico».

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L’aula del Consiglio regionale prima dell’inizio di una seduta di lavori

E puntualizza: «C’è stato in sostanza, un doppio standard di parametri inconciliabili, dei quali però il secondo era rimasto per decenni “dimenticato”, fino a che la vicenda del Lazio (l’arresto di “Batman” Franco Fiorito, ndr) fece esplodere le ben note inchieste e le verifiche».

Così in Friuli Venezia Giulia si è materializzata quella che Nicoli ha definito la “tempesta perfetta”. Una “tempesta” riguardo la quale «è realistico stimare che i connotati del sistema e le relative implicazioni maggiormente insidiose, non fossero chiaramente presenti ai consiglieri regionali».

Ricorda la «consolidata prassi» nel cui ambito i contributi ai gruppi del Consiglio regionale «erano “vissuti” da sempre come funzionalmente equiparati al rimborso forfettario versato direttamente ai componenti la Camera dei deputati anche per gestire il loro rapporto con gli elettori e, in genere, le rispettive attività individuali con un mandato quindi prettamente “politico”».

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L'aula del consiglio regionale

Nessun equivoco, spiega il giudice, perché «tale “prassi” era confortata dalla stessa normativa che recava univoci spunti in quel senso. Da ciò pare ragionevole ritenere che solo successivamente sia maturata nei consiglieri la consapevolezza che, almeno riguardo ad una parte delle spese delle quali chiesero il rimborso, poteva essere difficoltoso dimostrarne la sicura aderenza a criteri di razionalità, quantomeno entro uno scrutinio operato nell’ottica di una loro, seppur parziale, rilevanza pubblicistica».

Insomma, i sei consiglieri sono stati prosciolti al termine dell’udienza preliminare non accogliendo le richieste di rinvio a giudizio del pm Frezza, secondo una logica che appare fin troppo disarmante. «Questo giudice - scrive Nicoli - rammenta prima di tutto a sé stesso ed alla propria funzione l’imperativo categorico di non perdere mai di vista, neppure nelle vicende più intricate, la funzione del processo penale che nel nostro ordinamento non è uno strumento designato a sindacare l’intera gamma delle scelte adottate nei diversi ambiti della società (uno dei quali è la politica) ed a sanzionarne le eventuali criticità, con pronunce più o meno gratificanti per il presunto “comune sentire” di un certo momento storico, ma, più modestamente, la sede entro cui, applicando le norme ed i principi in tema di prova dei reati, va vagliata la tesi se un cittadino si sia o meno reso responsabile dell’illecito penale».

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Il consiglio regionale

Di fatto la sua è una risposta indiretta alle dichiarazioni della presidente Debora Serracchiani fatte dopo la pronuncia del dispositivo della sentenza. «Come sempre, guardiamo con rispetto le sentenze pronunciate dai giudici, a prescindere dai singoli casi e dalle specificità dei comportamenti, che pure esistono» aveva detto Serracchiani.

«Credo che il rapporto tra la politica regionale e i cittadini in questi anni abbia fatto un salto di qualità. La nostra amministrazione regionale si è impegnata fin dall’inizio in questo senso perché, anche laddove non vi siano rilievi penali, accade che si pongano questioni di opportunità politica e di condotta che devono essere valutate con attenzione».

Ma tra le righe delle motivazioni Nicoli offre anche un assist al pm Frezza che aveva chiesto il rinvio a giudizio. «Questo gup - scrive il giudice - reputa peraltro che la presente vicenda processuale si sia dispiegata in aderenza al normale e corretto adempimento dei ruoli istituzionali di tutte le parti nel processo penale, e che le scelte del requirente (il pm, ndr), così come quelle delle difese siano state improntate dall’obiettivo di pervenire ad una ricostruzione congrua ed imparzialmente conforme a legge della assai ostica e difficile casistica».

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