Regione, le spese pazze incombono sul voto 2016

Si torna in aula il 5 aprile quando a Trieste, Pordenone e in vari Comuni del Friuli si respirerà aria di campagna elettorale
L'aula del Consiglio regionale
L'aula del Consiglio regionale

TRIESTE. Prima che il gup, qualche settimana fa, decidesse di convocare i funzionari di Palazzo, per capire da loro com’è che funzionavano le rendicontazioni in Consiglio regionale, l’ora del giudizio era attesa già da mesi per ieri, in un’anonima mattinata d’autunno.

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Come minimo, invece, se ne riparlerà il prossimo 5 aprile, in una mattinata di primavera non più così anonima, se è vero che si respirerà aria di campagna elettorale, fra Trieste, Pordenone e altri Comuni del Friuli. Il calendario delle udienze, molto denso, partorisce dunque una coincidenza tutt’altro che trascurabile per la vicenda spese pazze, i famosi trecentomila euro impiegati a vario titolo, secondo l’inchiesta per peculato del pm Federico Frezza, in modo illecito da 22 tra ex e/o attuali cosiglieri regionali più qualche esterno.

Slitta insomma di un paio di stagioni climatiche la serie di udienze preliminari - tra patteggiamenti, processi col rito abbreviato e posizioni in bilico tra rinvio a giudizio o proscioglimento - di cui si sta occupando il giudice Giorgio Nicoli.

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Il rinvio al 5 aprile è stato disposto per l’appunto ieri al termine dell’udienza a porte chiuse originariamente fissata per il pronunciamento decisivo ma che poi è stata dedicata, per scelta dello stesso gup che ha ritenuto necessario un approfondimento, agli “interrogatori” dell’attuale segretario generale del Consiglio regionale Augusto Viola, del suo predecessore (ai tempi delle spese contestate) Mauro Vigini e pure della dirigente amministrativa Alessandra Cammaroto. Quest’ultima, alla fine, non è stata nemmeno sentita. Il gup ha ritenuto sufficienti le “deposizioni” dei due supermanager sul regolamento passato e su quello presente.

Ne è venuta fuori, banalizzando, la constatazione di quanto fosse nebulosa la regolamentazione sui rendiconti prima della “stretta” del 2013, indotta proprio dall’inchiesta, e di quanto pochi fossero per questo i controlli. Una piega del “discorso”, questa, che ha portato più d’un avvocato difensore a insistere sul confine delle responsabilità tra i politici finiti sotto inchiesta e gli uffici tecnici deputati al controllo delle spese, ma anche tra i consiglieri “semplici” da una parte e i capogruppo e i membri dell’Ufficio di presidenza dall’altra.

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Della serie, sempre secondo le difese, spese opinabili moralmente ma non condannabili giuridicamente. Ora, però, incombe la variabile che fa salire di rango l’aspetto morale: il 5 aprile si sarà in campagna elettorale. E non è detto che quel giorno sia ancora finita, dato che l’udienza si aprirà con le repliche di pm e difensori.

Per la cronaca, hanno chiesto di patteggiare l’ex presidente d’aula Edouard Ballaman, l’ex capogruppo della Lega Danilo Narduzzi e il tour operator Matteo Caldieraro. Hanno scelto l’abbreviato gli ex Pdl Massimo Blasoni, Maurizio Bucci, Piero Camber, Sandro Della Mea, Daniele Galasso, Antonio Pedicini, Piero Tononi, Gaetano Valenti e l’esterno Everest Bertoli, nonché gli allora Pd Gianfranco Moretton e Alessandro Tesini.

Hanno infine optato per il rito ordinario - e aspettano quindi un rinvio a giudizio o un proscioglimento - i tre attuali consiglieri Mara Piccin (Misto), Elio De Anna (Fi) e Daniele Gerolin (Pd), gli ex Roberto Asquini del Misto, Ugo De Mattia, Enore Picco e Federico Razzini della Lega e l’elicotterista Paolo Iuri.

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