Regione, aumenti in busta paga per 14mila dipendenti

Chiusa un’impasse che durava da sette anni anche per la spending review. I lavoratori del comparto unico riceveranno tra i 58 e 75 euro al mese in più
Il palazzo della Regione
Il palazzo della Regione

TRIESTE. L’aria sembrava quella giusta sin dal mattino. «Forse, stavolta, ce la facciamo», auspicavano le categorie, consapevoli di essere a un passo dall’intesa con i datori di lavoro. Sono bastate non a caso solo tre ore, ieri pomeriggio a Trieste, per le strette di mano.

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Dopo sette anni di blocco dei contratti imposto dalla spending review nazionale, delegazione trattante e sindacati hanno siglato la preintesa e i lavoratori del comparto unico regionale ritrovano un aumento in busta paga. A regime, a inizio 2018, percepiranno da un minimo di 58 a un massimo di 75 euro mensili lordi.

La trattativa, avviata subito dopo lo sciopero del 25 maggio, è durata circa sei mesi. Le persone, poco meno di 14mila, erano note. Così come, quasi da subito, la massa salariale necessaria al rinnovo 2016-18: 15,6 milioni di euro. E pure l’incremento: il 3,1%, la somma tra il 2,7% da prevedere sullo stipendio e lo 0,4% di vacanza contrattuale (una quindicina di euro medi al mese) che i lavoratori già stanno percependo.

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Una protesta dei lavoratori del comparto unico sotto il Consiglio regionale

Il nodo del contendere, nelle ultime settimane, era stato la distribuzione delle risorse tra tabellare e parte accessoria, la quota di salario legata al raggiungimento degli obiettivi e alla produttività. Alla fine l’intesa si chiude con il 90% dei 15,6 milioni sul tabellare e il 10%, con modalità ancora da definire, destinato al secondo livello.

Concretamente, fanno sapere i sindacati, gli aumenti contrattuali saranno a regime di 58 euro per i lavoratori della categoria A, 60 euro per i B, 64 per i C e 75 per i D. Compensi lordi e comprensivi della vacanza contrattuale. La preintesa di ieri ha inoltre definito tre decorrenze: primo gennaio 2016, primo gennaio 2017, primo gennaio 2018.

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L’intesa definitiva conterrà la distribuzione anno per anno degli aumenti, fermo restando che il tetto massimo si raggiungerà solo tra due anni. Lieto fine dunque dopo un lungo periodo di attrito, passando pure attraverso un tentativo da parte della giunta di arrivare alla firma in pieno periodo elettorale.

Tra il primo e il secondo turno delle elezioni di giugno, si posero infatti le basi per l’accordo, motivo di duro scontro politico con l’opposizione che accusò il centrosinistra di voler strumentalizzare la vicenda contrattuale del pubblico impiego. Subito dopo il ballottaggio, tuttavia, la trattativa si è arenata sostanzialmente per tutta l’estate. Al punto che in qualche occasione il sindacato si è fatto tentare da una mezza idea di un secondo sciopero.

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Contestualmente alla stesura del ddl di riforma del comparto unico, le parti si sono invece avvicinate. La premessa della giornata chiave di ieri. «Un risultato soddisfacente», dicono Mafalda Ferletti (Cgil Fp), Massimo Bevilacqua (Cisl Fp) e Maurizio Burlo (Uil Fpl), al tavolo assieme ai colleghi della Cisal Paola Alzetta e dell’Ugl Fabio Goruppi.

Sorride anche Paolo Panontin, l’assessore alle Autonomie ieri impegnato proprio sul ddl che rivoluziona il comparto, in aula per l’approvazione, ma con un orecchio attento a quanto accadeva in un’altra stanza del Palazzo.

«La filosofia di fondo è stata quella di riuscire a trovare un punto di equilibrio tra le diverse esigenze - commenta Panontin - con particolare attenzione per le categorie dei livelli più bassi che certamente, in questi lunghi anni di blocco dei rinnovi, hanno subito più di tutti gli effetti della crisi economica».

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Dopo che la proposta di adeguamento contrattuale è emersa, ha più volte rimarcato Panontin, da un confronto con le altre Regioni a statuto speciale e con le due Province autonome di Trento e di Bolzano, negli scorsi mesi si era parlato della possibilità di un incremento mensile uguale per tutti: dai commessi ai funzionari. Obiettivo non centrato, ma che in qualche modo si è cercato di avvicinare.

«La miglior forbice possibile», concordano infatti le organizzazioni sindacali evidenziando come tra l’aumento più basso, 58 euro, e quello più alto, 75, la differenza è di soli 17 euro. A questo punto resta ancora da definire in che modo utilizzare il 10% indirizzato al salario accessorio, circa 1,6 milioni di euro, cui potrebbero aggiungersi ulteriori risorse provenienti dai pensionamenti.

«Potremmo pensare di utilizzare quelle risorse per esempio per l’aumento dell’indennità rischi e degli straordinari - anticipa Ferletti - ma è un percorso da valutare con i colleghi». Altro aspetto da consolidare quello più corposo della parte giuridica del contratto. Nelle prossime settimane si metteranno nero su bianco le nuove regole su congedo parentale a ore, permessi per visite mediche, indennità di missione, alimentazione dei fondi produttività e spese per la formazione.

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