Regeni, rabbia dopo il verdetto: «Pronti al ricorso a Strasburgo»
ROMA A meno di quarantatott’ore dalla decisione della Corte di Cassazione che ha ridotto al lumicino le speranze di giustizia della famiglia Regeni - dichiarando inammissibile il ricorso della procura di Roma contro la sospensione del processo che dovrebbe vederli imputati -, a gioire sono solo i quattro 007 egiziani accusati, a vario titolo, di aver sequestrato e ucciso il ricercatore friulano tra il 25 gennaio al 2 febbraio del 2016 al Cairo: il generale Tarik Sabir, i colonnelli Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Usham Helmi e il maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif.
Dall’Italia unanime presa di posizione contro la decisione. Gli “ermellini” hanno escluso che i provvedimenti impugnati siano di loro competenza perché «non abnormi». Intanto la parola torna al gup di piazzale Clodio, che potrà proseguire nella road map definita col provvedimento di sospensione dell’11 aprile. La prossima udienza è il 10 ottobre, quando verrà sentito anche il dg degli affari di giustizia del ministero che riferirà sull’attività svolta con le autorità egiziane.
Non è escluso che la famiglia Regeni possa ricorrere alla Corte Ue dei Diritti dell’uomo per ottenere che venga celebrato il processo. «Siamo increduli e sbigottiti di fronte a questo “cavillismo” ma bisogna andare avanti perché la goccia scava la roccia, come diceva la saggezza dei nostri padri», commenta a caldo Bruno Lasca, amico e compaesano dei Regeni. «Questi signori sono noti al governo e ai giudici egiziani e c’è un dovere di scomodare l’ambasciatore e di notificare gli atti ad al-Sisi», ha commentato il presidente della Fnsi, Giuseppe Giulietti, presente il 15 luglio scorso al sit-in sotto la Corte. Reazioni anche dalla politica, in particolare dal Pd. «Le decisioni della magistratura si rispettano, ma resta l’umiliazione di un regime che si prende gioco di noi utilizzando il nostro Stato di diritto», scrive su Twitter il deputato dem Palazzotto, presidente della commissione parlamentare d’inchiesta sulla vicenda. Sulla stessa lunghezza d’onda il collega Andrea De Maria, Segretario d’Aula a Montecitorio: «È una sentenza che amareggia profondamente. Le nostre istituzioni hanno il compito di battersi per fare giustizia. Lo dobbiamo a Regeni, ai suoi familiari, alla dignità dell’Italia». Di «perdita di dignità» parla anche Laura Boldrini, deputata Pd e Presidente del Comitato della Camera sui diritti umani nel mondo: «È abnorme aver mantenuto rapporti politici, commerciali e militari con l’Egitto». Resta agli atti questa decisione che il papà di Giulio, Claudio, ha bollato come «una ferita di Giustizia per tutti gli italiani».
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