Regeni, il governo punta alle sanzioni per l’Egitto

ROMA L’Egitto di Al-Sisi non collabora con la magistratura italiana sul delitto Regeni, anzi innalza un muro di gomma per proteggere gli ufficiali della National Security che saranno processati a Roma, e allora l’Italia cambia approccio. Sembra archiviata la stagione del dialogo e degli affari a tutti i costi. Ora si dice che si è «agghiacciati» per quello che ha scoperto la procura di Roma. E queste sono le conclusioni del vertice che si è tenuto ieri a palazzo Chigi.
Il primo atto del nuovo corso sarà uno sgambetto magari di poco peso, ma dal chiarissimo significato politico: l’Italia non appoggerà più le candidature avanzate dall’Egitto nelle sedi delle Nazioni Unite, a cui, nella fase in cui avevamo sperato che la collaborazione diplomatica avrebbe spianato la strada a quella giudiziaria, aveva garantito il sostegno.
Secondo, si cercherà di creare un fronte comune a livello europeo (stanando la Francia dalla sua trincea filo-regime; purtroppo la silente Gran Bretagna che protegge la professoressa di Cambridge è fuori) a tutela dei diritti umani. Regeni e Zacky: entrambi i casi verranno inseriti, su richiesta italiana, all’ordine del giorno della prossima riunione tra ministri degli Esteri dei Ventisette. Riunione che si terrà il 25 gennaio, anniversario del rapimento di Giulio. In quell’occasione l’Italia chiederà con forza una presa di posizione comune. E la parola «sanzioni» non sarà più un tabù.
«Il nostro obiettivo adesso è impegnare le istituzioni europee per Regeni, perché stiamo parlando di diritti umani. L’Italia chiederà anche il coinvolgimento di tutte le istituzioni internazionali per il riconoscimento del processo che la magistratura italiana sta intentando contro i funzionari egiziani ritenuti colpevoli», dirà in serata il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. «E non abbiamo dimenticato Patrick Zacky, cittadino egiziano che ha studiato nelle nostre università. Vogliamo permettergli di riabbracciare la famiglia al più presto possibile».
La partita a scacchi con l’Egitto in verità è doppia, perché coinvolge anche la Libia nella persona del generale Haftar (strettamente legato al Cairo). Il premier Giuseppe Conte con i ministri Guerini, Lamorgese e Di Maio ieri ha affrontato anche la questione dei pescatori siciliani che sono ostaggi dell’esercito di Haftar da 107 giorni. Il governo ha preso atto amaramente dello «stallo sostanziale» di ogni trattativa. Si avvicina intanto il Natale, monta la rabbia dei siciliani e la questione sta diventando anche politica.
Nel decreto Ristori sono stati stanziati 500mila euro per le famiglie, ma a Mazara del Vallo vogliono altro. Vogliono indietro i loro cari. Di ciò il governo è consapevole. «Non ho dimenticato in questo momento difficile i nostri pescatori in Libia e voglio dire che ce la stiamo mettendo tutta e stiamo continuando a lavorare», ha detto ancora Di Maio.
Il punto è che a palazzo Chigi non si vede una soluzione. A Bengasi, attraverso i colloqui svolti dall’intelligence, continuano a chiedere in cambio la liberazione di alcuni scafisti, ormai condannati. E su questa china il governo non può incamminarsi. Perciò l’unica strada che i ministri intravedono è trovare un «punto di leva» per esercitare pressione su Haftar. Tra gli addetti ai lavori si è diffusa la convinzione che voglia un appoggio per un ruolo nel futuro governo libico. —
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