«Regeni, gli atti dell’Italia non ancora arrivati al Cairo»
ROMA. Una «fonte giudiziaria della Procura di Giza ha dichiarato» che la «Procura generale di Roma non ha ancora inviato all'ufficio tecnico del Procuratore generale» egiziano Nabil «Sadek quello che la Procura ha chiesto di sapere sulle deposizioni degli amici» di Giulio Regeni, il ricercatore originario di Fiumicello ritrovato morto il 3 febbraio dopo essere scomparso al Cairo il 25 gennaio. Lo scrive il sito dell'autorevole quotidiano egiziano Al-Masry Al-Youm. Secondo la stessa fonte, che ha chiesto l'anonimato, «la Procura egiziana non fa totale affidamento sulla controparte italiana e sulla squadra di inquirenti» a Roma, aggiunge il sito, rilevando che quelli richiesti dalla Procura egiziana sono «punti importanti per le sue inchieste» sui «rapporti personali di Regeni che compiva studi superiori sul movimento dei sindacati indipendenti».
Il 14 marzo scorso, dopo che la diplomazia italiana era scesa più volte in campo, il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone e il sostituto Sergio Colaiocco si erano recati al Cairo per incontrare il procuratore generale della Repubblica Araba di Egitto Nabil Ahmed Sadek: ne era scaturito, dopo molte settimane di reticenze da parte del Cairo, un impegno congiunto a «incrementare la collaborazione diretta per arrivare a prove concrete e ad arrestare i colpevoli» dell’omicidio di Giulio Regeni, mentre Sadek in pratica aveva annunciato di avocare a sé la supervisione delle indagini, fino a quel momento condotte proprio dalla procura di Giza. Lo stesso Pignatone, in un colloquio con il Corriere della Sera pubblicato una settimana fa, aveva preannunciato che «entro qualche giorno consegneremo ai colleghi egiziani il nostro fascicolo, compreso il risultato dei controlli effettuati sul computer di Regeni».
Il quotidiano egiziano riporta che la Procura di Giza «allargherà la cerchia dei sospettati» sul caso: lo prevede una «fonte giudiziaria». La Procura «interrogherà tutti e li incriminerà se le inchieste» dimostreranno «che proteggevano i criminali o che sono implicati nell'omicidio», aggiunge il sito precisando che le indagini hanno dimostrato che si tratta di un «omicidio volontario e la causa della morte è sia un'aggressione compiuta sferrando colpi sia la tortura, come rilevato dal rapporto di medicina legale». La Procura ha stilato un «piano» per condurre l'inchiesta nella «prossima fase e ha completato l'analisi degli interrogatori dei testimoni sentiti finora», premette Al Masry Al Youm.
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