Referendum sugli archivi di Tito
BELGRADO. Solo due settimane sono passate dalle elezioni per l’Europarlamento e la Slovenia torna già alle urne. Lo fa oggi per rispondere sì o no a un quesito referendario sulle nuove regole d’accesso ai documenti degli archivi di Stato, introdotte dal governo a gennaio. Regole che prescrivono tra le altre cose l’«anonimizzazione» dei dati personali sensibili nei documenti lì custoditi che contengano informazioni delicate sulle vittime ma anche su chi, al tempo del regime socialista, occupava posizioni di rilievo nelle organizzazioni responsabili della repressione del dissenso. Referendum abrogativo che è stato reso possibile dalla mobilitazione dell’Sds di Jansa, il partito d’opposizione più critico verso i potenziali effetti dei cambiamenti, sostenuto da sabato anche dai popolari dell’Sls. Cambiamenti che, per l’Sds, nasconderebbero solo il proposito di «bloccare» di fatto «l’accesso agli archivi» e ai documenti relativi ad agenti, collaboratori e attività della polizia segreta jugoslava, ha riassunto l’agenzia stampa Sta. In pratica, si vorrebbe «proteggere chi ha spiato» alle spalle dei «propri concittadini», mettendo sullo stesso piano «vittime del regime e persecutori».
Una visione a grandi linee condivisa anche da Göran Lindblad, presidente delle “Piattaforma europea della memoria e della coscienza”. Già a febbraio, Lingblad aveva scritto al governo sloveno chiedendo che a «tutti sia garantito l’accesso agli archivi», unica via per «trarre l’appropriata lezione dagli orrori del passato». Se un ricercatore «deve attendere per due mesi» che i documenti richiesti vengano ripuliti dai dati sensibili «20 anni non basteranno per un singolo studio», ha denunciato invece il ricercatore Igor Omerza. Critiche che il governo uscente ha sempre rigettato con forza. Non si tratta certo di serrare le porte degli archivi – dischiuse nel 2006 dal primo governo Jansa -, al contrario. La motivazione della norma che punta anche alla digitalizzazione del patrimonio documentario sarebbe solo quella di fare una selezione nell’accesso a dati e nomi sensibili, per proteggere la privacy. La Slovenia «avrà una legge rispettosa degli standard europei» e al contempo «consentirà l’accesso» ai documenti, «invito i cittadini a votare sì», ha chiesto Bratusek, mentre il numero uno dello “Zgodovinski arhiv” ha ricordato che solo lo 0,5% del totale dei materiali conservati riguarda la polizia segreta. Di questi, solo il 5% è oggi facilmente accessibile e con l’emendamento la quota salirà al 75%, ha poi specificato invece il ministro della Cultura, Grilc, aggiungendo che «il restante 25% diverrà consultabile dopo l’anonimizzazione». In pratica, si apre invece di chiudere, malgrado le denunce del centrodestra.
Rimane da vedere se gli sloveni si appassioneranno al complicato e divisivo tema. Perché sia valido il referendum, almeno il 20% degli elettori registrati dovrà presentarsi alle urne.
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