Recovery fund, opposizioni contro Janša: assurdo il veto ai conti Ue

La Coalizione dell’arco costituzionale chiede la riunione d’urgenza al Parlamento di Lubiana delle commissioni esteri e affari europei. Bruxelles: fase complessa
Il primo ministro sloveno Janez Janša durante un’intervista rilasciata alla Televisione pubblica slovena
Il primo ministro sloveno Janez Janša durante un’intervista rilasciata alla Televisione pubblica slovena

LUBIANA La decisione quasi personale del primo ministro sloveno Janez Janša (destra populista) di aderire al veto nei confronti del bilancio dell’Unione europea, bloccando di fatto i fondi del Recovery Fund, assieme al premier ungherese Viktor Orban (grande amico e sponsor politico di Janša) e al collega polacco Mateusz Morawiecki, è per i partiti della cosiddetta Coalizione dell’arco costituzionale che sta lavorando alla sfiducia costruttiva del leader populista sloveno, la classica goccia che fa traboccare il vaso.

La Lista Šarec (Lmš), i socialdemocrati (Sd), Levica (sinistra) e Sab (Alleanza Alenka Bratušek) chiedono la convocazione di una sessione di emergenza delle commissioni parlamentari per la politica estera e gli affari europei proprio per le opinioni del primo ministro Janez Janša, che a loro avviso sono «contrarie agli orientamenti strategici della politica estera slovena». Convinzione presente anche in alcuni partiti della coalizione di governo che mostrano un certo mal di pancia rispetto al volo pindarico di Janša sullo stato di diritto e sulla necessità che sia un organismo giudiziario indipendente a stabilirne il rispetto o meno. Ma poi resta sempre il craxiano punto interrogativo: «Chi controlla il controllore?»

Secondo i partiti di opposizione, il primo ministro Janša «ha rapito il Paese» con i suoi tweet sulle elezioni americane e la lettera ai leader degli altri membri dell'Ue. Gli eventi sono «vergognosi e inutili» , ha commentato il deputato Nik Prebil di Lmš. I tweet a sostegno al presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che ha perso le elezioni, e una discussione con i colleghi del vincitore Joseph Biden, sono stati descritti da Prebil come «una vergogna». Come «passo indietro», invece, «l’approccio aperto a Višegrad, in particolare a Ungheria e Polonia, che all'interno dell'Ue fanno parte del patto dei cosiddetti Paesi problematici». In questo modo, Janša sta distogliendo l'attenzione dalla «situazione catastrofica nel Paese» a causa dell'epidemia di Covid-19, ha concluso Prebil.

La situazione venutasi a creare in Europa non è certo piacevole. Sullo stato di diritto l'Ue però non arretra di un millimetro e lo stallo sul Recovery resta. La videoconferenza dei leader di giovedì, come peraltro era previsto, non ha sbloccato il veto di Polonia, Ungheria e Slovenia sul pacchetto economico da 1.800 miliardi di euro con cui i governi nazionalisti di Mateusz Morawiecki e Viktor Orban e quello populista di Janez Janša stanno tenendo in ostaggio il futuro dell'Europa. Ma il messaggio emerso forte e chiaro, per bocca del presidente del Consiglio Charles Michel, è che sul rispetto dello stato di diritto l'Unione non è disposta a fare compromessi. L'eventualità di procedere a 25 (o a 24 se la Slovenia persistesse a seguire la scia di Ungheria e Polonia anche se giovedì Janša ha chiesto a tutti di sforzarsi per trovare un accordo) viene agitata in questa fase come “arma” di ultima istanza. Il Gruppo di Višegrad è diviso: Cechia e Slovacchia non seguono il terzetto polacco-ungherese-sloveno. Ad aggrovigliare le cose, è emerso il caso vaccino russo Sputnik che l'Ungheria intende utilizzare: il problema è che per circolare nell’Ue occorre il via libera dell'Autorità del farmaco (che non c'è). L'idea è proseguire le discussioni a livello diplomatico. «Non è una crisi che possa risolversi dall'oggi al domani», ha indicato una fonte Ue. Le divisioni tra Polonia e Ungheria e il resto dell’Europa sono profonde e vanno dallo stato di diritto alle politiche sul clima all'immigrazione. Su questo ultimo punto, però, le stesse divisioni sono profonde anche tra i 25. Ungheria e Polonia sono due Paesi a guida sovranista: la crisi sullo Stato di diritto era annunciata ed era chiaro da tempo che a un certo punto nell'Unione occorreva un chiarimento politico. Ma non è detto che questa sia la volta buona. Certamente nè i polacchi nè gli ungheresi intendono mettersi sulla scia dei britannici: da un lato i fondi Ue sono una leva insostituibile per le loro economie, dall'altro lato fanno parte dell'hub manifatturiero tedesco (basti pensare all'industria automobilistica). Impensabile che una rottura possa maturare fino in fondo. E Janša? Farà quello che zio Viktor dirà di fare.—

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