Razeto: nella fusione con Pordenone Confindustria cresce per le nuove sfide
TRIESTE Una crescita dimensionale fondamentale per servire meglio le imprese. Una crescita cui la Venezia Giulia porta in dote un rapporto con la ricerca nodale su formazione e trasferimento tecnologico, e una forte attenzione ai giovani. Sergio Razeto, presidente di Confindustria Venezia Giulia, sintetizza così ragioni e opportunità della fusione con Unindustria Pordenone in Confindustria Alto Adriatico.
Razeto, un patto fra la città della scienza e quella della manifattura, come lo definisce Michelangelo Agrusti?
Una grossa opportunità per mettere a fattor comune i vari aspetti e avvicinarsi di più alle imprese che hanno bisogno di crescere per affrontare i mercati in termini internazionali e fronteggiare le sfide tecnologiche dell’industria 4.0. Ci credo molto. La dimensione aumenta la forza con cui si possono esprimere le necessità delle aziende. Sì, in Alto Adriatico portiamo un’area rappresentata prevalentemente dalla ricerca, ma non solo: tutto il monfalconese è ricco di imprese che vanno abbastanza bene.
I vantaggi per la Venezia Giulia?
Una volta quella confindustriale era un’adesione in senso - positivo - lobbistico, oggi le imprese hanno anche bisogno di servizi che noi vogliamo aumentare: credo sia il vero grande aiuto che possiamo dare. Altro tema chiave: il nostro tessuto imprenditoriale, fatto di piccole e medie aziende, ha bisogno di conoscersi per lavorare meglio. Un’esperienza che abbiamo già fatto e che ha dato ricadute interessanti, così come il lavorare con Università, Sissa e Area Science Park.
Quest’ultimo è un aspetto che Venezia Giulia porta in dote alla fusione.
Sì, potremo dare una mano in tema di trasferimento tecnologico all’intero territorio. Le imprese hanno iniziato a parlare con la scienza. Con la Sissa abbiamo avviato un progetto di successo con alcuni ricercatori messi a disposizione delle Pmi per studi afferenti alle loro necessità. Con l’Università abbiamo creato la possibilità di interventi a livello di docenza delle imprese aprendo un contatto immediato coi giovani, che tutte le aziende cercano e non trovano. L’attenzione su formazione e Its è nodale: a livello regionale l’assessore Rosolen è molto attenta, ma a livello nazionale se ne parla assai poco.
A Trieste per altro ci sono varie situazioni di crisi.
Farei distinzioni sugli allarmi lanciati: c’è la Ferriera - in quel caso non è crisi, è una scelta - ci sono aziende come Burgo. Per altre situazioni - come Wärtsilä - trovo siano flessioni come ce ne sono sempre state.
A proposito di Ferriera, il ministro Patuanelli ha annunciato che Fincantieri è pronta ad assorbire gli esuberi. Che ne pensa?
Se la possibilità è stata proposta credo ci sia. Ma premesso che non so quali siano stati gli accordi, un’impresa deve pensare ai propri utili e non può essere un ente di beneficenza. L’uso del personale deve essere conforme e idoneo alle necessità. E credo difficile cambiare mestiere a un’età avanzata. Scettico? No: dico che non lo trovo facile.
Trieste e la regione hanno davanti la partita della Nuova via della Seta.
Se gestita con attenzione è un’opportunità. A livello portuale si parla di concessioni, e se parliamo di punti franchi si parla di eventuale extradoganalità, non extraterritorialità. Ci sono leggi nazionali da rispettare: altrimenti le concessioni si revocano. Dobbiamo però lavorare molto per far sì che l’import sia uguale all’export. La Germania ha fatto di Duisburg un centro che è la porta ferroviaria della Cina in Europa, ma ha una bilancia di trasferimenti di merce in e out sostanzialmente paritaria. E poi dobbiamo fare in modo di non essere solo un punto di passaggio delle merci.
Patuanelli ha parlato della partita delle procedure per definire la trasformazione delle merci all’interno del porto. Il suo è un appello alla velocizzazione dell’iter?
Non solo alla velocizzazione, ma all’attuazione. Autorità portuale e ministro ci stanno lavorando. Il porto franco opera in termini di stoccaggio, mentre la localizzazione delle imprese sarebbe favorita da una extradoganalità vera e da norme chiare su cosa si possa e non si possa fare. E aggiungo, giacché per la Ferriera si va in quella direzione, che è estremamente importante - se si farà un nuovo accordo di programma - che si riconosca l’area di crisi industriale complessa come già in precedenza, perché ci sono soldi inutilizzati per le imprese. È poi assolutamente indispensabile trovare soluzione al Sin, che dovrebbe essere un sito territoriale a gestione regionale così che dinamiche e soluzioni siano più veloci. Fra i fattori che soffocano le imprese c’è la burocrazia.
La legge dell’assessore Bini sull’economia è slittata a quest’anno: il tema non è ritenuto urgente?
Andrei più in là: le politiche nazionali si sono dimenticate un po’ di questi aspetti. Mi pare che il problema maggiore stia nel reperire risorse economiche. Tutti ne sono consapevoli, ma tristemente il mercato dell’impresa e del lavoro da anni passa in secondo piano.
Tra segni di flessione e scenari globali, che anno sarà?
L’export di cui è prevalentemente fatta l’industria regionale e nazionale può essere condizionato da fattori europei - come Brexit - o dal peggioramento dello stato economico della Germania, o ancora dal nodo dazi. E francamente non so quali potrebbero essere le ricadute della situazione di crisi in Iran e in Paesi a noi molto vicini. Spero che tutto questo ci tocchi a margine, ma in qualche modo ci condizionerà.
Tornando a Alto Adriatico: l’obiettivo resta il Nordest?
Senza dubbio. Mi spiace che non ci sia Udine, ma spero sia solo un primo passo per arrivare a un discorso regionale e oltre. Più uniti potremo farci sentire decisamente meglio.—
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