Rapina in villa a Opicina: «Avevo l’arma in faccia. Stavano per uccidermi»
TRIESTE «Stavano per pugnalarmi con un grosso cacciavite. Quindi ho sparato ad altezza uomo. Ma per intimidirli, non per uccidere. A quel punto però mi hanno massacrato con pugni, calci e con un piede di porco. Uno dei due poi è riuscito a prendermi l’arma... e me l’ha puntata contro. Ma si è inceppata. E sono scappati».
Se li ricorderà per sempre, quei minuti di terrore, Gianfranco Bernardi. Settant’anni, storico titolare della “Pirotecnica Triestina” e organizzatore, in città, di diversi spettacoli con fuochi d’artificio, è lui l’uomo che venerdì sera si è trovato i rapinatori in giardino, nella villa di Opicina derubata. E, per difendersi, non ha esitato a usare la sua Sig Sauer.
Sono circa le sette di sera quando Bernardi sente partire l’allarme dall’abitazione accanto. Non una qualunque, ma quella del figlio. Che in quel momento è via. Le due proprietà confinano: sono divise soltanto da una siepe.
Il settantenne è in cantina. L’allarme è scattato perché nella casa vicina sono entrati due ladri, che dopo aver tentato un primo furto in un alloggio della zona - andato a vuoto - non si sono fermati. E hanno continuato ad aggirarsi per Opicina.
«Ho sospettato qualcosa perché mio figlio non c’era ma vedevo comunque le luci accese dalla finestra», racconta Bernardi. «Allora sono uscito dalla cantina e sono andato a prendermi la torcia e pure la mia pistola». Una Sig Sauer 9X18 Police, vecchio calibro.
Il settantenne decide quindi di incamminarsi verso l’altra villa, passando per il terreno in comune e tenendo l’arma sotto il giubbotto. Ma prima di svoltare l’angolo dell’abitazione, Bernardi viene assalito da un uomo in passamontagna. «Sembrava indemoniato... ha cominciato a colpirmi in faccia e nel resto del corpo con un piede di porco. Io non me l’aspettavo, ho cercato di pararmi con un braccio arretrando, ma lui ha tirato fuori un cacciavite che avrà avuto quaranta centimetri, scagliandosi addosso a me, per trafiggermi. Stava per uccidermi. Allora ho sparato».
La pallottola passa a pochi centimetri dal bandito e va a conficcarsi sul muro. «Non volevo prenderlo - spiega il settantenne triestino - ma solo intimorirlo, volevo spaventarlo per farlo andare via. Ho mirato proprio al muro». Ma il criminale non molla. Si lancia sulla vittima con una furia di calci e pugni. In quel momento piomba anche il complice, pure lui con il passamontagna. I due sono addosso a Bernardi, lo picchiano cercando di strappargli la pistola di mano. «Non volevo mollarla - ripercorre il triestino - loro mi urlavano parole confuse, mi pareva in una lingua slava, ma anche “str...”, “str...”, l’unica parola che dicevano in italiano. Avranno avuto tra i venticinque e i trent’anni. Pestavano per uccidermi. Ho abbandonato la presa sulla pistola perché mi stavano spaccando la mano». Adesso è il rapinatore a impugnare l’arma. La punta in faccia al settantenne. «Ma la Sig Sauer si è inceppata», testimonia l’uomo. Miracolosamente. «Dentro c’erano altre pallottole». Attimi di terrore. I due criminali lasciano Bernardi per terra, pieno di sangue. Scappano scavalcando il muretto e dileguandosi nei boschi con la Sig Sauer.
«Non ci pensi che possa esserci qualcuno capace di pestarti in quel modo così selvaggio», riflette il settantenne. Adesso è ancora sotto choc. Va avanti con antidolorifici e tranquillanti. Ma è vivo. —
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