Raddoppiato il numero dei richiedenti asilo
Ancora contenuti in rapporto alla popolazione complessiva di Trieste, ma in nettissima crescita rispetto a solo pochi mesi fa. I numeri dei richiedenti asilo accolti in città nelle strutture gestite da Ics e Caritas - le realtà a cui la convenzione stipulata tra Prefettura e Comune affida il ruolo di «enti gestori» -, nell’arco di un anno e mezzo sono più che raddoppiati, passando dai circa 250 dell’estate 2013 ai 548 censiti l’altro ieri. Un aumento, si affrettano a precisare istituzioni e operatori del settore, che non rischia di far saltare il sistema Trieste” dell’ospitalità, indicato dal Viminale stesso come modello virtuoso da esportare in tutta Italia. Ma che indubbiamente lo espone a situazioni di forte sofferenza.
L’ultima è emersa chiaramente lunedì scorso, con la necessità di trasformare la palestra dell’Edera a San Giovanni in centro d’accoglienza provvisorio per 37 cittadini afghani rimasti senza un tetto. «La presa in carico di una ventina di persone, arrivate tutte insieme lunedì, ci ha colti un po’ alla sprovvista - chiarisce il presidente del Consorzio italiano di solidarietà, Gianfranco Schiavone -. Ci siamo trovati a gestire un “picco”, che ha richiesto una soluzione di fortuna. Soluzione destinata però a rientrare nell’arco di qualche giorno, non appena il sistema ordinario riuscirà ad assorbire la fase di improvvisa criticità. Quando, cioè, avremo trovato altri alloggi (l’Ics conta su una rete di appartamenti in affitto in tutta la città) in cui trasferire gli ultimi arrivati».
Un’altra cartina al tornasole che rende bene l’idea delle pressioni a cui è sottoposto il sistema dell’accoglienza, è l’attività della mensa gestita dalla Caritas. «Negli ultimi giorni - spiega il direttore don Alessandro Amodeo - abbiamo raggiunto numeri record. Ospitiamo circa 200 persone a pasto, a fronte di una media di 100 ospiti. Una vera emergenza per noi, perché la struttura non è in grado di sopportare simili volumi. Il personale si dà moltissimo da fare, ma i limiti restano. Esiste, è vero, una seconda mensa - quella dei frati di Montuzza -, ma è piccola, resta chiusa a cena e deve far fronte anche a un altro tipo di utenza, quello dei “poveri storici”, per così dire».
L’accoglienza dei richiedenti asilo, infatti, va di pari passo con quella rivolta ad altri tipi di disagio. «Come Caritas - prosegue don Amodeo - abbiamo a disposizione per i rifugiati 54 posti tra Teresiano, Casa Betania in via di Chiadino, Villaggio del fanciullo, più 5 inseriti nel progetto nazionale Sprar (il sistema di protezione per i richiedenti asilo che prevede assistenza e mobilità all’interno dell’intero Paese, ndr). Disponibilità ulteriori non ne abbiamo, anche perchè in questo periodo è entrato in vigore pure il piano comunale per l’emergenza freddo, che riserva spazi precisi ai senza fissa dimora più in difficoltà».
I margini d’azione, insomma, appaiono ridotti. Ecco perchè, ribadisce Schiavone, Trieste dovrebbe dotarsi di un centro per la primissima accoglienza. «Parliamo di una struttura in grado di ospitare 30/40 persone in caso di arrivi massicci e imprevisti, come quelli di questi giorni. Una struttura a fisarmonica, da aprire solo quando serve e richiudere non appena il sistema ordinario riesce a riassorbire le criticità. Le dinamiche di arrivi, partenze e trasferimenti, infatti, a Trieste sono rapide e ben rodate: la strategia messa in atto finora funziona, tant’è che la partenza del programma di accompagnamento parte nella stessa giornata di arrivo del richiedente asilo. A livello centrale invece - conclude Schiavone-, Roma dovrebbe smettere di sottovalutare la portata degli ingressi via terra (fenomeno, tipico della realtà triestina, che vede arrivare a piedi profughi provenienti per lo più da Pakistan e Afghanistan, ndr). Vanno cioè previsti trasferimenti sistematici in altre regione di quanti arrivano in Friuli Venezia Giulia, al pari di quanto avviene con chi sbarca in Sicilia».
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