Racconto d’estate: Nella casa di Margaret la misteriosa

Ecco la settima puntata del racconto estivo proposto stavolta dal lettore Luca Predonzani: continuate da qui
Man Running on Roulette Wheel --- Image by © Images.com/Corbis
Man Running on Roulette Wheel --- Image by © Images.com/Corbis

di LUCA PREDONZANI

Carlo e Giacomo si siedono e rimangono in silenzio per almeno due minuti. Entrambi sono troppo sconvolti per parlare.

«Era lui? Ne sei sicuro?» sussurra impaurito Carlo.

«Sì» si limita a rispondere Giacomo. Carlo si alza di scatto e guarda il ragazzo.

«Andiamo a casa di Margaret, Ora».

«Cosa? No, io...»

«Poche storie, alzati e andiamo». Con una determinazione che nemmeno lui credeva di avere, Carlo afferra due torce dal cassetto di un tavolino in corridoio, dà la meno luminosa a Giacomo e in men che non si dica sono già fuori dalla villa e si stanno avviando verso la casa di Margaret.

«Te l’ho detto, è pericoloso!» esclama preoccupato Giacomo, tentando di stare al passo spedito di Carlo.

«Non importa, questa storia deve finire!» Che sia una persona o un fantasma, interrogherò quella donna e ne capirò di più. Scommetto sulla mia paga che è coinvolta anche lei nella sparizione di mia moglie!», Giacomo tenta di replicare ma Carlo è già dieci metri più avanti. Arrivati all’ingresso della casa di Margaret, Carlo sussurra a Giacomo: «Ora busso, e se non apre lei entriamo dalla finestra.

Il giovane è troppo terrorizzato per replicare. Dopo aver bussato per circa un minuto, Carlo si avvicina alla finestra più bassa della casa. La finestra gli arriva all’altezza del petto. Per una manciata di secondi, la sua mente gli impone di non commettere quello che è a tutti gli effetti un gesto vandalistico piuttosto grave, ma poi è il pensiero di Aurora a prendere il sopravvento e senza pensarci due volte comincia a colpire con la pesante torcia il vetro della finestra. Una decina di colpi violenti e il vetro si frantuma.

«Seguimi!», ordina Carlo a Giacomo, issandosi sul davanzale e facendo attenzione ai cocci. Sospirando, il ragazzo segue l’uomo.

L’interno della casa è inquietante almeno quanto la sua proprietaria, è il primo pensiero di Carlo. L’arredamento è spoglio e lugubre: l’ingresso buio porta a un salotto verso destra e a una scalinata verso sinistra. Il salotto è largo almeno quattro metri, ospita un tappeto color verde marcio, illuminato da quattro lampade ad olio posizionate ai quattro angoli della stanza, e un corridoio stretto e corto porta a una piccola cucina. Sulla destra la scalinata, buia e dall’aspetto piuttosto antico, porta al piano superiore.

D’un tratto, tre colpi risuonano nel buio. Mezzo metro di pavimento a qualche centimetro di distanza da Giacomo esplode. Dalla cima della buia scalinata, qualcuno sta sparando verso di loro. Carlo istintivamente balza verso in salotto, ed un quarto colpo gli sfiora la gamba. Giacomo giace a terra.

«Forse è stato colpito» pensa Carlo, ma muoversi vorrebbe dire morire. Un passo leggero ma deciso risuona dalle scale, e qualche secondo dopo Margaret appare alla base di esse.

«Carlo», sussurra una voce molto più bassa ed inquietante della altre volte. «Lo sai che non è consigliabile lasciare i propri figli a casa da soli, da queste parti?».

Sul volto della donna compare un ghigno. Carlo, terrorizzato e sconvolto non riesce a muoversi. Margaret alza il braccio destro e punta la. pistola verso di lui. All’improvviso, la porta si spalanca, e prima che la donna possa reagire, Rodolfo la colpisce in pancia con un grosso bastone, facendola cadere a terra. Col piede destro calcia la pistola lontano da lei mentre Caterina corre verso il padre per assicurarsi delle sue condizioni. «Ragazzi! Ma cosa...».

«Io e Cate non riuscivamo a dormire, ti abbiamo visto uscire di casa e non volevamo ti succedesse qualcosa!», spiega velocemente Rodolfo.

«Giacomo?», esclama Carlo.

«S...s...sto bene», balbetta il ragazzo, ancora disteso a terra. Dopo essersi rimesso in piedi, Carlo spiega tutto a Caterina e Rodolfo. Parla di Margaret e dell’uomo che sembra aver rapito Aurora. «Quel che è certo - esclama ad alta voce, finite le spiegazioni ai figli - è che questa donna non è un fantasma e qualche spiegazione ce la deve».

Carlo afferra la donna, che era rimasta a terra dolorante, la smacca su una sedia in salotto e si mette in piedi davanti a lei, con di fianco i due figli e Rodolfo.

«Preferisci una denuncia per aggressione a mano armata o ci facciamo due chiacchiere?» esclama Carlo ad alta voce. La donna esita ma, ancora dolorante e sotto minaccia, decide di parlare. «Ho dovuto...ho dovuto inscenare la mia morte. Tre mesi fa. Loro mi stavano col fiato sul collo da mesi e ho capito che l’unico modo per salvarmi era fingere che fossi morta e partire. Sono tornata qua la settimana scorsa».

«Loro chi?», domanda Rodolfo. La donna esita ancora. In lei non c’è più alcuna traccia della sicurezza delle altre volte, e men che meno l’aggressività di dieci minuti prima. «Da trent’anni dirigo un’organizzazione illegale di gioco d’azzardo in tutta la zona. Ci sono decine di locali e bar in tutta la regione che la notte organizzano bische clandestine. Io e alcuni miei amici, da sempre appassionati di gioco d’azzardo, abbiamo cominciato questa attività per divertimento. Siccome ho alcuni amici oltre confine appassionati di gioco d’azzardo che all’epoca non avevano casinò nei dintorni, abbiamo parlato con i proprietari di alcuni locali qui in regione dicendo che potevamo procurar loro parecchi giocatori. Per il primo anno, la cosa è stata molto limitata. Mensilmente, i miei amici - una cinquantina di persone - si organizzavano e passavano una serata a giocare, dividendosi tra i quattro locali che all’epoca aderirono alla nostra iniziativa e pagando un piccolo tributo ai gestori. Ma con il passare del tempo, neanch’io so bene come, la cosa si è espansa. I giocatori sono diventati centinaia, la voce si è sparsa e ricevevo quasi ogni settimana una chiamata da un gestore di qualche locale diverso che per arrotondare lo stipendio ci offriva nuovi bar dove inviare i giocatori. Molte volte la polizia è stata sul punto di scoprirci ma ce la siamo sempre cavata, guadagnandoci un po’ di soldi ma anche divertendoci. Una giocatrice in particolare si è trovata coinvolta nel giro più che mai, diversi anni fa. Non era di qua ma veniva spesso a giocare, e si era affezionata alla nostra casa di gioco più particolare: La casa delle cipolle».

«Cosa?», urlarono all’unisono Rodolfo e Caterina. «Sì, per alcuni anni anche la vostra attuale abitazione è stata un luogo di gioco. Ma lì le cose erano diverse: si giocava con i rubli, perché il proprietario di allora era un eccentrico russo, che si innamorò di questa giocatrice: vostra madre!».

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