Racconto d’estate: ecco le prime sette puntate
Quattro milanesi a Trieste e la vacanza con mistero dentro la Casa delle cipolle
di FEDERICA MANZON
La madre era una che barava al solitario. Per capirci, era capace di inseguire i figli in strada domandando se a cena preferissero il minestrone o la pastasciutta, quando in cucina già fumavano le verdure. Poteva intavolare discussioni eterne per stabilire se quell'anno nelle terrazze di Lignano o Grado avrebbe trionfato la zeppa in corda o il sandalo Capri, salvo avere già nella scarpiera la soluzione, inevitabilmente migliore. E le vacanze non avevano fatto eccezione. Ad aprile Aurora aveva iniziato a scoprire sotto gli occhi dei familiari una prima mano di carte sorprendenti, illusoria promessa di località meravigliose che avrebbero potuto scegliere seguendo l'estro del momento. Serata dopo serata li aveva spinti ad accapigliarsi dalle roccaforti dei loro desideri: una salubre escursione nelle Dolomiti, compresa di albergo con sauna e bagno turco (marito); un viaggio a Tokyo con tappa obbligata nelle palestre di sumo dei sobborghi (figlio); due settimane sulla costa ligure dove non sarebbero mancate le feste dei compagni biondo-azzurrini del liceo (figlia). Nel frattempo, dopo ogni cena, nel silenzio di una cucina finalmente vuota, Aurora consultava siti internet per organizzare la vacanza che aveva in mente: tre settimane sulla costa triestina, da cui nemmeno il materializzarsi di un monsone artico avrebbe potuto distoglierla. Tutti avevano escogitato i trucchi migliori per far trionfare la propria scelta e ora eccoli, il 29 di luglio, sotto il sole delle due del pomeriggio, in coda al casello del Lisert. Allegri e soddisfatti, convinti ognuno in cuor suo di aver scelto la vacanza che voleva. Una campionessa dell'inganno, Aurora. Una da spedire di filato al Casinò di Lipiza, capace di raggirare pure la slot machine. Guardiamoli da vicino, mentre l'Audi A6 targata Milano sbuca dallo stop che immette in costiera e i finestrini vengono abbassati. Carlo guida ingoiando ostentamente lunghe boccate d'aria pura, istruendo i figli sulla storia della città dai Romani a Massimiliano, senza omettere il Museo Revoltella, gli scritti di Svevo e Stuparich, qualche storiella sordida e i segreti nascosti che è certo di padroneggiare per intero. Un uomo intelligente, pieno di strumenti, che sa come ci si documenta. Un primario all'apice della carriera che si fa vanto di affittare per la famiglia una casa da seimila euro per qualche settimana. Il Milanese, lo chiamano già i vicini e se la ridono. Aurora è la prestigiatrice, il burattinaio magico. Ora sorride al marito completamente assorta nei propri programmi per i giorni a venire. I familiari non lo sanno, ma lei ha i suoi buoni motivi per essere qui. Sul sedile posteriore Rodolfo e Caterina si sintonizzano sullo spirito vacanziero giocando a Uno e postando su Facebook le foto del golfo sopra Grignano. Rodolfo ha sedici anni e i muscoli allungati dagli allenamenti di basket, da mezz'ora si ingozza di M&M'S e chiede al padre dove sia la piscina e se c'è davvero una scuola di canoa a due passi da casa. Carlo come al solito non lo sente. Quando parla, raramente la conversazione prende la piega di un dialogo, i suoi sono piuttosto monologhi dove l'ascolto degli altri è irrilevante, la loro opinione superflua, basta un semplice uditorio, meglio ancora se manipolabile. Così Rodolfo, dopo il terzo tentativo, per evitare di fare la parte dello studente adorante, tira fuori l'Iphone e inizia a scaricare la app di Angry Birds Space. Nel frattempo Caterina ha scritto un sms a sua cugina Maria Sole, minacciandola di ogni ritorsione se solo si avvicinerà a Ludovico, in questa lunga estate che i due passeranno come vicini di casa a Sestri. Poi manda un sms a Ludovico con la faccina triste e una frase che ha rubato a Twilight. Caterina ha quattordici anni e oggi sfoggia lo smalto fluo dell'estate e gli shorts d'ordinanza; ha dimenticato il suo disappunto per la mancata vacanza ligure quando ha saputo che il proprietario della casa ha lasciato la sua vespa ad uso degli ospiti e lei ha strappato alla madre la promessa di poterla usare tutti i giorni per andare a un mare che, le hanno raccontato, è vicinissimo alla città. Eccoli quindi, quattro milanesi entusiasti e patinati fare il proprio ingresso sul lungomare di Barcola. Si sporgono dai finestrini, perplessi, a spiare la folla di corpi abbronzatissimi che si gode il sole ai Topolini e chiacchiera del prossimo viaggio in barca a vela. Solo Aurora non sembra particolarmente colpita da quel lungomare senza ombrelloni né stabilimenti balneari, pochissime sdraio. Sorride fra sé. Carlo nel frattempo litiga con il navigatore che fatica a trovare la mappa della città. "Che pirla!" impreca e come fosse una parola magica pronunciata da un ottuso apprendista mago, la scatola nera si anima e una voce da televendita semiporno lo avvisa che viale Miramare sta per aprirsi dritto davanti a lui. Si rilassi. Carlo preme sull'acceleratore, supera il bar California, distratto appena dalle ragazze che corrono sotto l'ombra degli alberi sulla ciclabile dal lato opposto della strada, seducenti e sportive. Le segue dallo specchietto retrovisore. Il navigatore gli intima di rallentare: "Tra cento metri…" e Carlo allunga la mano per zittirlo, ora che sono arrivati si arrangia da sé. "Eccoci ragazzi, è quella" dice sforzando il piglio del condottiero che fantastica di essere. Con la forza di un magnete millenario due cupole tonde da chiesa russa attirano gli sguardi di tutti e quattro i passeggeri e in auto si fa per la prima volta silenzio. Un silenzio irreale. Perfino Aurora alza gli occhi verso le due cipolle verde-azzurro e per un attimo si scorda di essere in macchina, con i suoi figli e un marito al fianco, si scorda di questa vita che pure è da sempre la sua. Davanti a quella casa che sembra piombata da una dimensione parallela come la casa di Dorothy del Mago di Oz, che nulla c'entra con le tranquille costruzioni del viale, Aurora avverte distintamente un'inspiegabile familiarità che le provoca una fitta che dal cuore si irradia alle braccia e ai polpastrelli. Vorrebbe tendere un dito come l'alieno di quel film famoso, a toccare le grandi vetrate ad arco che si stagliano sulla facciata e trasudano un'anima straniera di rubli segreti e azzardi pericolosi. Perché una parola sola le riempie la testa: CASA.
Tra Barcola e Opicina inizia una vacanza che si tinge di mistero
di FEDERICA MANZON
I ragazzi hanno impiegato poco tempo a mimetizzarsi, o per lo meno la loro presenza salta poco all'occhio, soprattutto se tengono la bocca chiusa. A Barcola hanno imparato a quale altezza stendere gli asciugamani se vogliono incappare nei tiri a pallone dei loro coetanei, nelle chiacchiere delle femmine all'ombra della siepe d'oleandro. Per Rodolfo è stato facile liberarsi della propria famiglia, l'hanno aiutato il fisico sportivo, l'abilità nei tuffi e una certa dose di inconsapevole scemenza che lo trasforma in perfetto compagno di scherzi, uno che non si tira indietro nemmeno davanti all'idea di un'olimpiade delle clanfe agostana, con tanto di travestimento. Per Caterina le cose sono complicate dal suo carattere ombroso, dagli occhi blu e una terza perfetta di reggiseno che non facilitano l'accoglienza delle coetanee. Tuttavia è tra le pochissime quattordicenni a muoversi in motorino, una vespa rosso fiammante per di più, e ben presto la sera la si vede sfrecciare in città con qualcuno aggrappato ai fianchi e i braccialetti luccicanti che le squillano ai polsi. Carlo compare poco al mare, e solo a tarda sera quando i suoi figli sono già risaliti per la cena, cui lui quasi sempre manca. Di giorno macina chilometri sui pedali, perde litri di sudore isterico e arringa i passanti sulla superiorità dell'enervitene in boccette. Ha noleggiato una mountain bike che non lo appaga per nulla, come non lo appagavano le precedenti cinque che ha provato nei primi cinque giorni dal loro arrivo. Ormai tra negozianti e ciclisti è passata la voce dell'arrivo del Milanese, quello che è meglio evitare nelle strade sul Carso perché subito si attacca alla scia e prende la gita come una competizione in cui primeggiare. Nemmeno offre il caffé al ritorno per la strada di Opicina. Aurora li aspetta in casa, raramente si concede un'imponderabile uscita in città. Per lo più rimane nelle stanze dove, se qualcuno si prendesse la briga farci attenzione, in rari momenti si può avvertire lontano un tintinnare magico di monete - rubli si direbbe, ad avere una conoscenza da esperti. Aurora comunque si premura di tirare le tende alle grandi finestre ad arco, e di quello che accade alla villa delle cipolle trapela pochissimo. La prima domenica dal loro arrivo Carlo decide un fuori programma. Preoccupato di quello che la gente può pensare nel vederlo sempre da solo, infastidito dalla noncuranza con cui la popolazione locale prende atto dei suoi maldestri tentativi di seduzione e continua a farsi gli affari propri con grande divertimento, frustrato dal poco interesse che suscita la sua persona, decide di rivalersi sui familiari. Così alle sette e trenta è già pronto con lo zainetto da mare in spalla - sicuro che gli dia un'aria disinvolta - e a forza di pacche amichevoli e bacetti fuori tempo massimo costringe i propri figli ad alzarsi dal letto. Esige un'inconsueta colazione Mulino Bianco, uno strazio che Aurora gli concede senza proferire parola. E infine eccolo fischiettare verso la macchina per portare la sua trionfale, biondissima famiglia a Sistiana. Un capriccio che, è evidente, mette tutti di malumore. Imboccano viale Miramare al contrario per raggiungere l'edicola della stazione dove Carlo può comprare l'edizione di sabato del Financial Times, che gli sembra molto adatta da sfoggiare in quel mare mitteleuropeo, comunque cosmopolita gli hanno detto. E poi eccoli in direzione Sistiana, con i Beatles nel lettore cd, Carlo che canta e guarda dritto l'orizzonte, e la Siberia attorno a lui. Sono così assorbiti nei loro rancori e rivalse che tutti e quattro sobbalzano quando, al semaforo di Roiano, sentono bussare al finestrino. Tutti tranne Aurora, a dire il vero, che abbassa il vetro e sorride. "Mi portate al mare?" chiede, senza traccia di accento, una donna sulla sessantina, gli occhi viola chiaro e le labbra sottili. Carlo è preso in contropiede da quella spontaneità senza fronzoli che sempre lo mette in difficoltà. È Caterina a riprendersi per prima: "Certo, venga qui dietro che c'è posto" e Aurora annuisce come fosse normale. Le macchine dietro suonano spazientite, ché nel frattempo è scattato il verde. "Ma che suonano 'sti pistola!" sbotta Carlo, ritrovando il suo ruolo. "Non vedono che c'è una persona che sta salendo?". Forse no. Una volta salita la donna si presenta, piacere Margaret. A stringerla, la sua mano ha la consistenza di un passero che ancora deve imparare a volare. "Anche lei non è di queste parti mi sembra" attacca Carlo, che ci tiene a farsi vedere socievolmente di mondo. "Noi veniamo da Milano, io mi occupo di cosmetic surgery, mia moglie è docente di fisica..." "Veramente insegno filosofia" precisa Aurora. "Ma amore mio, hai fatto una testi in filosofia della scienza! Hai dato diversi esami a fisica..." "Due" "Comunque, loro sono i miei figli. Caterina è appena tornata da Londra, vero tesoro? E Rodolfo il prossimo anno si farà sei mesi negli States. Sa, questi scambi studenteschi." "Capisco." "Noi a Milano viviamo..." "Non ha caldo con le maniche lunghe?" interviene Rodolfo. Margaret si gira verso di lui e per un istante Rodolofo ha l'impressione che quegli occhi violetti possano leggere la composizione del suo codice genetico. Poi sorride. "Non posso prendere il sole sulle braccia, ho subito un'operazione." "Davvero?" si entusiasma Carlo, una sorta di zecca delle deturpazioni. "Che genere di operazione? Si è rotta un braccio? Una frattura multipla?" "I tendini." "I tendini? Cazzo, quelli sono una rogna" diagnostica nel silenzio dell'abitacolo. "Com'è successo?" "Una coltellata, una doppia coltellata" lo informa Margaret con ancora sulle labbra quel sorriso svanito e gentile, come se stesse parlando di qualcos'altro che se stessa. Aurora la spia dallo specchietto. "Deve fare un male cane!" "Certo Cati, in alcuni casi la rottura di un tendine può essere molto più dolorosa di una frattura ossea" spiega pronto Carlo. "E dica Margaret, è successo da queste parti? È stato uno scippatore? Sa, con dei figli in giro la notte..." "Oh, non si preoccupi, loro sono al sicuro in quella casa. Il mio non è stato un incidente." "Cos'è stato?" chiedono in coro Rodolfo e Caterina, senza notare nessuna stranezza nella risposta di Margaret. "È per via del mio lavoro." "Ah sì? Perché lei che lavoro farebbe?" "Che lavoro faceva?" corregge Aurora, aprendo bocca per la seconda volta. "La croupier."
Sulla spiaggia di Sistiana si fa largo l'ombra di un'antica leggenda
di FEDERICA MANZON
Basterebbe un'occhiata alla geometria degli asciugamani sulla spiaggia di Sistiana per leggervi con occhio da radiologo lo scheletro familiare: Aurora stesa perpendicolare al sole, gli occhi chiusi in un sonno apparente; Caterina a pochi centimetri dalla madre ne imita immobilismo e mutismo; Rodolfo ha fatto del proprio asciugamano un groviglio e si è unito ai lanci di frisbee di un gruppo di coetanei. E poi Carlo, steso a pochi centimetri da due ventenni con tatuaggi alla caviglia e corpi da ballerine, fa sfoggio di Ipad, chiaramente inutilizzabile sotto il sole delle undici. Dopo un tentativo di conversazione con le ragazze, per nulla impressionate dal suo elenco di conoscenze mondane ("Sai, con il lavoro che faccio... a proposito, ti ho detto che lavoro faccio?"), ora Carlo guarda con sospetto l'arrivo di due giovinastri, alti almeno dieci centimetri più di lui, che baciano le ragazze e si sistemano accanto a loro. Per darsi un tono, sfodera di nuovo il Financial Times. È sorpreso quando uno dei due allunga l'avambraccio da pallanuotista e gli offre una fetta di melone dal tapperware. "Non sei di Trieste vero?" chiede. "No, di Milano. L'avete indovinato eh!" prova a fare il simpatico Carlo, ma la sua allegria forzata uccide sul nascere ogni spontanea conversazione, così tocca a lui rilanciare. "Voi venite sempre al mare da queste parti o avete qualche dritta per un posto un po' meno affollato?" "Di solito andiamo al Bivio, ma è un casino anche lì. Comunque, io mi chiamo Furio e lui è Giacomo." Si scambiano una stretta di mano solare, come fossero davvero contenti di conoscerlo. "Siete qui in vacanza?" "Sì, abbiamo affittato una casa in città. Be', non proprio in città, sulla strada." "In costiera?" "Quasi... insomma... vicino" si barcamena Carlo. Ha capito che affittare casa in costiera sarebbe stato veramente chic, altro che quel mezzo castello da vampiri dove l'ha trascinato sua moglie. "A Barcola?" "Più o meno" risponde incerto. "Aspetta" si inserisce Giacomo, che fino ad adesso ha tenuto la testa china sullo smartphone. "Ma voi non sarete mica quelli che hanno affittato la Villa delle Cipolle?" "Cipolle?" "Ma sì, la casa del russo..." "Non ho parlato con nessun russo." "No, certo. Era russo quello che l'ha fatta costruire. Era un prete... Come si chiamano i loro preti?" "Pope" risponde prontamente Carlo, che ha sempre adorato stravincere a Trivial Pursuit. "Sì, quello... D'altra parte basta guardare la villa..." "Più che pope, quello era una spia" precisa Furio. "Già, dicono che fosse uno sgherro dello zar. È per questo che aveva i soldi per tirare su quella mezza chiesa, mica se ne vedono di ville simili in giro per città... Com'è dentro?" "Be', dentro è... fresca" tentenna Carlo, senza accorgersi che Aurora ha aperto gli occhi dietro le lenti a specchio dei Ray-ban e segue vigile la conversazione. "Certo, deve essere pazzesco trovarsi davanti il ritratto di quel vecchio demonio in formato 1:1 ogni volta che apri la porta di casa. Dicono che alla sua morte i becchini si siano rifiutati di ricomporre la salma perché erano terrorizzati. Aveva un'espressione feroce, come se da un momento all'altro potesse aprire gli occhi e farti sparire in Siberia." "Che quadro? Non c'è nessun quadro. Qualche foto al massimo. Ora che mi ci fate pensare, quello nelle foto ha proprio l'aria da contadino del kolchoz" prova a scherzare Carlo, ma i ragazzi non lo seguono. "Impossibile che non ci sia il quadro. Ci hanno scritto una miniera di articoli, anche un libro." "Magari è stato venduto" taglia corto Carlo, che detesta parlare di cose su cui non è informato. "Piuttosto, lasciando perdere preti e quadretti, sapete dirmi perché diamine ogni sera alle nove devono staccare la corrente? Cos'è, c'è ancora l'elettricità razionata?" "In che senso?" "Nel senso che puntuale come la morte mi ritrovo a fare la doccia al buio." "Forse c'è qualche contatto" suggerisce Giacomo. "Mi prendi per scemo? Ho controllato. Tutto perfetto. E poi manca la luce su tutta la via." "Strano" dice Furio. "La mia morosa abita a Barcola, cento metri neanche da casa vostra, e queste sere non è mai saltata la luce. Sono sicuro, perché i suoi sono alle Incoronate e noi siamo bloccati a casa a fare da baby sitter a suo fratello piccolo." "Si vede che eravate impegnati in altro senza troppa luce" ammicca Carlo, in un modo che crede cameratesco ma è solo imbarazzante. I ragazzi provano a cambiare discorso, ma dopo qualche frase sul tempo e l'epoca storica, tornano alla villa. "Nella stanza dei giochi c'è davvero il tavolo verde?" "Quale stanza dei giochi?" "Quella stanza... credo sia al secondo piano. O così dicono..." "Al secondo piano ci sono solo le camere da letto" precisa Carlo. Con la diffidenza che sempre anima il milanese in carriera, inizia a pensare che questi ragazzi lo stiano prendendo in giro, e lui non è mica uno che si fa fregare. "Allora deve essere da qualche altra parte, non so bene..." continua Giacomo. "Ma il tavolo verde c'è di sicuro, lo sanno tutti." "Saranno leggende che ha messo in giro quel furbo che me l'ha affittata, ecco perché mi costa più di un mese a Formentera." "Non è una leggenda" insiste Giacomo. "Cinquant'anni fa la villa era aperta al pubblico. Be', non proprio a tutti. Ci andavano a giocare a poker e a bridge, gente che faceva sul serio. Mio nonno si ricorda che arrivavano pure dall'Austria per sedersi a quel tavolo. Giravano un mucchio di soldi, pare." "Non c'è nessuna stanza dei giochi, nessun tavolo..." "È davvero delizioso il modo in cui l'hanno trasformato in un tavolo da pranzo" si sente dire ad Aurora, ancora distesa e protetta dai Ray-ban a specchio, "io e mio marito adoriamo cenare lì." Carlo sta per obiettare, con il sorrisetto di godimento che sempre gli sale alla bocca quando può smentire le affermazioni della moglie: sciocchezze, non c'è nessun tavolo verde, nessuna stanza dei giochi e loro non cenano mai insieme. Non fa in tempo a pronunciare una sola sillaba perché dal mare sale improvvisa una raffica di vento gelido e Carlo sente il fiato bloccarsi in gola, come se una mano invisibile stesse cercando di soffocarlo. Dura un istante, ma quando si riprende dal brivido si accorge che i ragazzi si sono tuffati in acqua e Aurora è sparita.
Una gita in bicicletta lungo il confine e il mistero si infittisce
di FEDERICA MANZON
Per distrarsi dalla preoccupazione per la madre e per sfuggire al cattivo umore del padre, Rodolfo e Caterina si scoprono improvvisamente alleati. Si ricordano che qualcuno ha raccontato loro di una strada che parte da un colle in città, San Giacomo forse, e porta oltre confine. E anche se per loro "confine" è un'idea un po' astratta - al limite ricordano quello attraversato da bambini per andare a sciare a Zermatt - la semplice parola evoca però un mondo avventuroso che intendono esplorare. Muniti di biciclette che Carlo ha noleggiato per lasciare intendere al negoziante che magnifica famiglia unita fosse la sua, roba da gite e pic-nic all'aria aperta tutti insieme, Rodolfo e Caterina lasciano la villa nel fresco del primo mattino. Le bottiglie d'acqua fissate al telaio delle mountain bike, i cellulari collegati a Google Maps, e il desiderio di dimenticare per qualche ora la propria famiglia. Trovano senza difficoltà l'imboccatura di quella che, più che un sentiero da Indiana Jones, sembra la pista d'allenamento della nazionale d'atletica, tanti sono i runner che transitano a doppio senso gocciolando tossine e sali minerali. Pedalano in silenzio, boccheggianti per la salita, fino a quando non si lasciano alle spalle le torri di Cattinara, e la strada diventa un agevole falso piano. "Secondo te torna?" chiede Caterina. "Perché pensi che se ne sia andata?" "L'ha detto la polizia." "No, ha detto che potrebbe essersene andata." "E se l'hanno rapita?" "Non essere stupida, perché mai dovrebbero rapire mamma?" "Per il riscatto." "Quello è roba da film." Caterina vorrebbe dire a Rodolfo che ha paura. Ha paura che la mamma non torni più. Ha paura che se ne sia andata per colpa di suo padre che è sempre pronto a mettere le mani attorno ai fianchi delle ragazze e ha la meglio in tutte le discussioni. Ha paura che se ne sia andata per colpa del suo chiudersi per ore in camera a scrivere su what's up a Ludovico e Maria Sole. Ha paura che la trovino morta in un dirupo o tra gli scogli, con i denti spezzati e il sangue nei capelli. Ha paura che li abbia abbandonati per amore di un altro uomo e di altri figli. "Cate, ti muovi?" urla Rodolfo, fermo sotto l'arco di una galleria e le sorride in quel modo dolce da Justin Bieber. Ovvio che le sue amiche ne vadano pazze. Ovvio che sia il prediletto della mamma. Pedalano a lungo senza fermarsi e sono le due passate quando si accorgono di non essersi portati dietro nemmeno un centesimo e neanche un pacchetto di caramelle. Rodolfo propone di tornare indietro, ma Caterina non ce la fa più. A stomaco vuoto, con l'acqua quasi finita e le ginocchia doloranti, reclama una sosta. "Proviamo a scendere un po'. Magari becchiamo qualche giardino con gli alberi da frutto, sembra zona di contadini" propone Rodolfo, che non ha rinunciato all'idea di un'avventura pericolosa, o almeno vagamente fuorilegge. Pedalano piano, allungando gli occhi dietro siepi e reti di confine ma, a parte un fico con i frutti ancora acerbi, niente. Trovano però una fontanella dove riempire le bottiglie, bagnarsi i capelli e sputarsi l'acqua addosso come bambini. Presi dagli scherzi che cancellano la fatica, non si accorgono che una donna li sta guardando da un po'. Quando si siedono sul muretto della chiesa, l'ombra violetta si avvicina a loro. "Margaret!" esclamano di soprassalto, un po' per lo spavento di non averla sentita arrivare, un po' per la felicità di un volto conosciuto. "Vi siete persi?" chiede con la sua voce lieve, senza accenti. "No, stavamo facendo un giro in bicicletta" risponde pronto Rodolfo. "Cosa vi ha spinto fin qui con questo caldo?" I fratelli si guardano incerti, non sanno se raccontare della scomparsa della madre. Decidono che le cose di famiglia vanno protette dagli sguardi estranei. Anche quando gli estranei sembrano di gran lunga più affidabili della propria famiglia. "Volevamo vedere dov'era il confine." "Capisco. Effettivamente ha il suo fascino ora che non esiste più." "Com'era prima?" "Prima era un pasticcio e un gran daffare per molta gente. Tutta una schiera di spioni e fedelissimi traditori prosperava da una parte e dall'altra. Ma tutto sommato erano tempi mica male." "Tu abitavi qui?" "Non esattamente, ma venivo spesso da queste parti." "Di dove sei precisamente?" chiede Caterina, che ha ereditato dal padre il carattere sospettoso, riluttante a fidarsi per semplice istinto o empatia. "Oh tesoro, quella è una storia lunga e tu sei troppo curiosa. Piuttosto, scommetto che avete una fame da lupi. Non vedo zaini né pranzi al sacco. Lo volete un panino con la pancetta?" "Anche due!" esclama Rodolfo, balzando in piedi in un impeto di fame barbarica. "Margaret, a dire il vero noi non possiamo..." esita Caterina, guardando il fratello in cerca di aiuto. "Ci siamo dimenticati i soldi a casa" ammettono. "Ragazzi, non fatemi ridere. Tirate su le bici e seguitemi" dice avviandosi verso la piazza, i passi così leggeri che sembrano non toccare terra. Solo quando li vede sazi, rilassati dal bicchiere di vino rosso asprigno che non sono abituati a bere, Margaret fa la sua domanda: "Sapete niente di vostra madre?" I fratelli si guardano, effettivamente troppo stanchi per organizzare una risposta difensiva. "Come fai a sapere che è scomparsa?" "Infatti non lo so" li inganna Margaret, regina di depistaggio e dissimulazione. "Intendevo dire se sapete niente di lei, della sua storia. Credete di conoscere vostra madre?" "È nostra madre." "E quindi?" "Quindi non c'è niente da conoscere, è nostra madre e basta" afferma senza dubbi Rodolfo e Caterina è felice del modo sicuro con cui suo fratello, per istinto, respinge ogni ombra lontano. "Forse hai ragione" acconsente Margaret. "Ma ora su, dovete andare, che la strada del ritorno è sempre più lunga." Si alzano, storditi, non del tutto convinti. Provano un accenno di ringraziamento. "Andate su, altrimenti farete tardi.... Anzi, aspettate... Prendete, potranno servivi al ritorno" dice Margaret allungando a Rodolfo un minuscolo borsellino a uncinetto. "E tu?" "Oh, io ho il mio, non temere. Ma quelli potrebbero tornarvi utili." Troppo stanchi per discutere, i fratelli si dirigono alle biciclette e, senza voltarsi indietro, pedalano verso la città. Solo a tarda notte, nella villa vuota, con il messaggio di loro padre abbandonato sul tavolo - sto facendo ricerche. torno tardi, andate a dormire -, Rodolfo e Caterina si ricorderanno del borsellino e lo apriranno seduti sul pavimento della stanza dei genitori. Nessun segreto, nessun indizio per scoprire la storia della loro madre, solo una manciata di monete. Rubli.
Il segreto della donna che appare in Salita Contovello
di CHIARA BERNARDONI
All'una di notte, Carlo ha ormai setacciato mezza Trieste. Ha girovagato qua e là, entrando nei locali più frequentati, attaccando bottone a baristi, camerieri, clienti, mostrando una foto di Aurora, chiedendo se l'avessero vista. Incurante delle occhiate di compatimento e delle risposte brusche, condiscendenti o ironiche. Sempre più stanco, più disperato e più ubriaco, capita in un locale di Cittavecchia. Nel gruppetto di giovani che, bicchiere e sigaretta in mano, staziona rumorosamente davanti all'ingresso, nota Furio e Giacomo, i ragazzi conosciuti a Sistiana. Anche loro lo vedono e, scambiatisi una rapida occhiata, si allontanano velocemente in direzioni diverse.
"Eh, no!" grida Carlo, e, con uno scatto impensabile per la sua età, agguanta il braccio del più vicino, Giacomo, con una presa degna di Rambo.
"Ahi, mi fai male, mollami!"
"Neanche ci penso" risponde Carlo "mia moglie è sparita davanti a voi, quel giorno a Sistiana, e tu e il tuo amico qualcosa avrete visto."
Giacomo lo guarda con un'espressione tra il serio e il costernato: "Noi non eravamo in acqua", tenta.
"Dopo, eravate in acqua! Prima avrete visto dove si era diretta e, magari, anche se…" esita "se qualcuno l'abbia, che so…" conclude faticosamente, la voce sempre più impastata, "chiamata."
"Senti nonno", e a Carlo quel "nonno" fa l'effetto di un pugno nello stomaco. Ma non replica, non è il momento, "Mi dispiace…" cotinua Giacomo "noi non volevamo entrarci, per questo abbiamo levato di corsa. Vuoi un consiglio? Lascia perdere. Meglio se non la cerchi."
"Perché?"
"Perché è lei che ti ha preso per… fatto fesso".
"Fatto fesso…in che senso?"
"Al primo momento ci è sembrato uno scherzo…un tizio è arrivato alle tue spalle e ti ha spruzzato qualcosa sul viso e sul collo. Ha fatto un cenno a tua moglie. Lei si è alzata e l' ha seguito. Sembrava agitata. Allora abbiamo pensato che forse non fosse uno scherzo e ci siamo tolti velocemente di mezzo. Tornati a riva, abbiamo visto che tu la stavi ancora cercando e ci siamo convinti che fosse meglio starne fuori. Tutto qui. Comunque una cosa è certa: quei due erano d'accordo."
"Ma, anche ammettendo che questo tipo volesse farla scappare con lui, non vedo perché aggredirmi in quel modo e in pubblico poi…Aurora era spesso a casa da sola: poteva andarsene in qualunque momento."
"Questo non lo so. Certo che spruzzare uno spray in spiaggia non è che dia nell'occhio. Noi ce ne siamo accorti perché stavamo parlando con te, ma altrimenti…Comunque il gesto sembra non avere un senso. Salvo che quel tizio non volesse deliberatamente spaventarti".
"In effetti, non capivo cosa mi stava succedendo. Deve aver usato quel ghiaccio spray che si usa per i traumi. La sensazione è stata quella di un'improvvisa folata gelida".
"Come quando si viene attraversati da un fantasma…" commenta Giacomo "almeno così dicono."
"Cioè, l'amichetto di mia moglie voleva farmi credere che fosse stata rapita da un fantasma? Ma, per favore!"
"Guarda che a me è capitata davvero, anni fa, un'esperienza paranormale. E nella casa che avete affittato, si dice che di fantasmi ce ne siano. L'agenzia non ve l'ha detto, immagino. Gli ultimi due inquilini…oddio, non può essere!"
Giacomo s'interrompe, cambiando espressione. Sembra spaventato. Guarda oltre le spalle di Carlo, si libera il braccio con uno strattone e fugge come se avesse visto il diavolo. Carlo si gira e incontra il tranquillo sguardo violetto di una sorridente signora Margaret.
"Buonasera, chi non muore si rivede."
"B…buonasera. Sembra che il mio amico abbia avuto paura di lei."
"Di me? Lei crede? E perché avere paura di una povera signora anziana e invalida?" Nel silenzio, calato improvvisamente, risuona la risata argentina di Margaret. I ragazzi sono spariti. Tutti.
"Sarebbe così gentile da darmi un passaggio fino a casa?" continua Margaret "Abitiamo vicini, ed è ora che lei rientri, non lasci i ragazzi troppo soli. Tanto è inutile che cerchi sua moglie in questo modo. Aspetti e vedrà che le farà avere sue notizie."
"E lei come sa che mia moglie è sparita?" dice Carlo.
"Trieste è piccola e Barcola è un paese. Ormai lo sanno anche i sassi."
"Ma lei perché dice che mi farà avere notizie? Che cosa sa? Cosa mi nasconde?" Carlo alza la voce, sempre più alterato.
"Mi sembra ovvio che sua moglie dovrà farsi viva prima o poi…ci sono anche i ragazzi. Andiamo, torni a casa".
Raggiunta la macchina posteggiata in Sacchetta Carlo riparte all'attacco.
"Quel ragazzo, Giacomo, si è spaventato a morte quando l'ha vista. Come mai?"
"A morte…be', non esageriamo. Un furterello in casa…non l'ho mai denunciato, ha restituito tutto, ma, quando m'incontra, scappa. Senso di colpa, paura che gli faccia fare una brutta figura, chissà?"
"Per lei tutto è sempre semplice e logico."
"Logico sempre, semplice non sempre."
Arrivati ai piedi della Salita a Contovello Margaret chiede di scendere. "Abito un po' più su, ma non si disturbi, mi lasci pure qui. E vada a dormire, vedrà che tutto si sistemerà presto."
"Buonanotte, allora, ma io voglio capire. Non sopporto di starmene qui, impotente, in una situazione che non solo non posso controllare, ma neanche incominciare a comprendere. Una bella famiglia, un matrimonio riuscito…"
"Non dica sciocchezze. Che cosa pretende di capire se non capisce nemmeno sua moglie. A presto, buonanotte." Margaret scende rapidamente e rapidamente sparisce nel buio.
A Carlo non rimane che tornarsene a casa, constatare che i ragazzi dormono come ghiri e farsi una doccia. Con la luce, finalmente. L'interruzione serale della corrente è scomparsa. "Qualcosa va e qualcosa torna." e con questo pensiero idiota cerca di addormentarsi. Mentre sta per scivolare nel sonno suona il campanello. Nuotando nelle nebbie del suo cervello, Carlo raggiunge la porta d'ingresso, la apre e si trova davanti Giacomo.
"Che cosa ci fai qui a quest'ora?"
"Non dovevo scappare così, poco fa, ma ero sconvolto. Tu, ancora, non puoi capire."
"Sono stufo di sentirmi dire da tutti che non posso capire. Anche la signora stanotte…"
"Margaret?"
"Si, quando l'ho accompagnata a casa, cioè quasi a casa… Ha detto che vive più su, in Salita…"
"Vive?"
"Vive…abita, cosa cambia?"
"Parecchio: è morta tre mesi fa."
Racconto d'estate: L'oscurità inghiotte l'uomo che ha rapito Aurora
di KAREN DRIOLI
Giacomo entra con sospetto in casa, guardandosi intorno. Una parte di lui ha sempre voluto varcare quella soglia, attratta dal mistero di quell'abitazione, ma in questo momento prova più timore che curiosità.
Mentre attraversa l'ingresso studia ogni angolo, ogni particolare: i vecchi mobili, le librerie di legno scuro che ricoprono i muri, gli abat-jour fuori moda.
Giunti al salotto, con un cenno della mano Carlo invita il giovane ospite a sedersi a tavola: intanto, si dirige verso la cucina, da dove grida a Giacomo "Bevi qualcosa?".
Il ragazzo titubante risponde di sì, e dopo pochi istanti il medico ricompare in soggiorno con due birre fresche in mano. Le stappano e bevono entrambi lunghi sorsi, rigorosamente dalla bottiglia, prima che Carlo inizi a fare domande.
"D'accordo, ragazzo. Cerchiamo di mantenere la calma. In un certo qual modo mi stai dando un aiuto, ma ora stiamo esagerando. Ti presenti a casa mia in piena notte per quale motivo? Per raccontarmi storie di fantasmi? Un bastardo ha fatto scappare mia moglie da me e dai suoi figli, e tu mi racconti balle?" La voce si alza sempre di più: "Se sai qualcosa, se sai chi sia quell'uomo ti prego dimmelo, ma se non riesci a rispondere a queste domande, ti supplico di lasciarmi stare e di andartene, perché sono troppo stanco per stare a sentire cavolate!".
Giacomo si sta innervosendo, ma allo stesso tempo vuole replicare: "No, Carlo, le mie non sono bugie, Margaret è morta mesi fa, te lo giuro!".
D'improvviso, Carlo scatta in piedi, agitando ancor di più il giovane: "Certo che sono bugie, ragazzino! Ma cosa credi? Di prendermi in giro? Mi stai dicendo che per due volte ho dato un passaggio ad un fantasma! Smettila!"
Ormai sta urlando.
Dal corridoio di sentono dei passi, in pochi istanti Rodolfo appare nella stanza, richiamato dalle urla, visibilmente assonnato. "Che succede, papà? Problemi?". "No, sta tranquillo, Rodolfo", lo rassicura il padre, tentando di calmarsi. "Va tutto bene".
Il figlio controlla sospettoso Giacomo.
"Tua sorella dorme?", chiede Carlo.
Il ragazzo fa cenno di sì con la testa.
"Bene, allora faresti meglio a seguire il suo esempio. Torna in camera tua, a domani".
"Papà...".
Carlo alza la voce: "Ho detto di tornare in camera tua!" lo incita con sguardo severo.
Rodolfo lo fissa per un istante, per poi voltarsi, quasi offeso, verso il buio del corridoio.
La porta della stanza del figlio sbatte al piano superiore quando Carlo, lievemente più tranquillo e con tono di voce più pacato, si rivolge nuovamente al suo ospite.
"Dunque ragazzo" inizia, sedendosi di nuovo. "Mia moglie è scomparsa da ore. Pare che se ne sia andata con un perfetto estraneo. Non c'è traccia di lei, ed ora tu mi vorresti convincere del fatto che la vecchia con cui parlavo è un fantasma". Fa una pausa, cercando la calma "Sei pazzo, o vuoi solo giocarmi un pessimo tiro?".
Giacomo prende il coraggio a due mani ed inizia a parlare: "Senti, lo so che può sembrare pazzesco, ma io quella vecchia la conoscevo, si chiamava Margaret, e fino a poche settimane fa abitava vicino a casa mia".
"Lei mi ha detto che la conosci perché ti ha sorpreso a rubare in casa sua. Non mi stupirei se fosse vero" aggiunge Carlo in tono sarcastico.
"Cosa?" Giacomo sembra davvero perplesso per quest'affermazione, e Carlo non può fare a meno di notare che pare sincero.
"Assolutamente no!" urla. "Te lo assicuro, io non ho mai rubato in vita mia, e se lo vuoi sapere, non sono neanche mai entrato in casa di quella donna! Te lo avrà detto per giustificare la mia reazione terrorizzata alla sua vista! Ma ti ha raccontato una bugia! E Margaret è morta!"
L'ultima frase la sussurra a malapena. Carlo comincia a preoccuparsi. Nonostante lo scetticismo, sente che sta iniziando a credere al ragazzo. Non sta mentendo, non esiste un attore tanto bravo al mondo.
Giacomo si guarda le mani per un istante, poi fissando il suo interlocutore inizia il racconto: "Non conosco tutti dettagli della vita di Margaret, ma nella zona la conoscevamo tutti. Era sempre gentile e cortese con tutti, ma c'era qualcosa nel suo modo di fare per cui nessuno le dava troppa confidenza. Era educata, ma non ispirava la dovuta fiducia. Non che abbia mai fatto niente di male, anzi. Ma tutti pensavano che fosse una donna particolare, non chiedere perché."
"Che sai di lei?"
"Quel poco che mi ha raccontato mio nonno: neanche lui la conosceva bene, ma aveva sentito delle voci su di lei, quando si era trasferita a Contovello... si diceva che era rimasta sola in giovane età, secondo alcuni il marito era morto giovane, secondo altri era semplicemente scappato. Dicevano che aveva avuto un figlio, ma nessuno lo ha mai visto. È morta all'inizio di maggio, da sola, così come ha vissuto. Per questo mi ha fatto un po' pena. Al funerale non c'era nessuno se non pochi vicini di casa che hanno provato compassione".
Carlo lo fissa senza parlare. Giacomo si prende la testa tra le mani.
"Ti giuro, è tutto vero! Quando l'ho vista, l'ho riconosciuta subito! Mi sono spaventato a morte! Ho già avuto delle esperienze simili, so che non bisogna scherzare con gli spiriti! E mai sottovalutare le loro intenzioni! Così, quando ho notato che ti parlava, mi sono sentito in dovere di venire ad avvisarti! Già mi sentivo in colpa per non averti raccontato ciò che era successo alla spiaggia."
Si interrompe di colpo. Lui e Carlo si guardano per un istante: hanno sentito entrambi un colpo provenire dal giardino. Come una caduta.
Corrono alla finestra. Intravedono una figura alta, slanciata, completamente vestita di scuro, irriconoscibile, allontanarsi velocemente verso le aiuole del giardino, attraversando l'oscurità della notte.
Carlo e Giacomo hanno appena il tempo di spalancare la finestra in ferro battuto del salotto, che la figura si sta già aggrappando al muro esterno, pronta a scappare.
Sbigottiti, senza riuscire a dire una parola,osservano la scena che si svolge in pochi attimi.
Ora il fuggitivo si trova in piedi ritto sul muro, e li fissa.
Si toglie il passamontagna che proteggeva la sua identità.
Sorride ai due uomini che lo guardano, e dopo un istante è sparito, calato giù dal muro verso la strada.
Carlo ritrae il busto verso l'interno della stanza, commentando con stanchezza: "Bastardo! Forse voleva entrare a rubare e ci ha sentiti... che razza di mondo..."
Giacomo è impietrito. Carlo se ne accorge e lo fissa.
"Era lui!" sussurra con un filo di voce.
"Lui chi?" chiede il medico, ma quasi si aspetta la risposta.
"L'uomo che ti ha portato via la moglie, Carlo".
Racconto d'estate: Nella casa di Margaret la misteriosa
di LUCA PREDONZANI
Carlo e Giacomo si siedono e rimangono in silenzio per almeno due minuti. Entrambi sono troppo sconvolti per parlare.
"Era lui? Ne sei sicuro?" sussurra impaurito Carlo.
"Sì" si limita a rispondere Giacomo. Carlo si alza di scatto e guarda il ragazzo.
"Andiamo a casa di Margaret, Ora".
"Cosa? No, io..."
"Poche storie, alzati e andiamo". Con una determinazione che nemmeno lui credeva di avere, Carlo afferra due torce dal cassetto di un tavolino in corridoio, dà la meno luminosa a Giacomo e in men che non si dica sono già fuori dalla villa e si stanno avviando verso la casa di Margaret.
"Te l'ho detto, è pericoloso!" esclama preoccupato Giacomo, tentando di stare al passo spedito di Carlo.
"Non importa, questa storia deve finire!" Che sia una persona o un fantasma, interrogherò quella donna e ne capirò di più. Scommetto sulla mia paga che è coinvolta anche lei nella sparizione di mia moglie!", Giacomo tenta di replicare ma Carlo è già dieci metri più avanti. Arrivati all'ingresso della casa di Margaret, Carlo sussurra a Giacomo: "Ora busso, e se non apre lei entriamo dalla finestra.
Il giovane è troppo terrorizzato per replicare. Dopo aver bussato per circa un minuto, Carlo si avvicina alla finestra più bassa della casa. La finestra gli arriva all'altezza del petto. Per una manciata di secondi, la sua mente gli impone di non commettere quello che è a tutti gli effetti un gesto vandalistico piuttosto grave, ma poi è il pensiero di Aurora a prendere il sopravvento e senza pensarci due volte comincia a colpire con la pesante torcia il vetro della finestra. Una decina di colpi violenti e il vetro si frantuma.
"Seguimi!", ordina Carlo a Giacomo, issandosi sul davanzale e facendo attenzione ai cocci. Sospirando, il ragazzo segue l'uomo.
L'interno della casa è inquietante almeno quanto la sua proprietaria, è il primo pensiero di Carlo. L'arredamento è spoglio e lugubre: l'ingresso buio porta a un salotto verso destra e a una scalinata verso sinistra. Il salotto è largo almeno quattro metri, ospita un tappeto color verde marcio, illuminato da quattro lampade ad olio posizionate ai quattro angoli della stanza, e un corridoio stretto e corto porta a una piccola cucina. Sulla destra la scalinata, buia e dall'aspetto piuttosto antico, porta al piano superiore.
D'un tratto, tre colpi risuonano nel buio. Mezzo metro di pavimento a qualche centimetro di distanza da Giacomo esplode. Dalla cima della buia scalinata, qualcuno sta sparando verso di loro. Carlo istintivamente balza verso in salotto, ed un quarto colpo gli sfiora la gamba. Giacomo giace a terra.
"Forse è stato colpito" pensa Carlo, ma muoversi vorrebbe dire morire. Un passo leggero ma deciso risuona dalle scale, e qualche secondo dopo Margaret appare alla base di esse.
"Carlo", sussurra una voce molto più bassa ed inquietante della altre volte. "Lo sai che non è consigliabile lasciare i propri figli a casa da soli, da queste parti?".
Sul volto della donna compare un ghigno. Carlo, terrorizzato e sconvolto non riesce a muoversi. Margaret alza il braccio destro e punta la. pistola verso di lui. All'improvviso, la porta si spalanca, e prima che la donna possa reagire, Rodolfo la colpisce in pancia con un grosso bastone, facendola cadere a terra. Col piede destro calcia la pistola lontano da lei mentre Caterina corre verso il padre per assicurarsi delle sue condizioni. "Ragazzi! Ma cosa...".
"Io e Cate non riuscivamo a dormire, ti abbiamo visto uscire di casa e non volevamo ti succedesse qualcosa!", spiega velocemente Rodolfo.
"Giacomo?", esclama Carlo.
"S...s...sto bene", balbetta il ragazzo, ancora disteso a terra. Dopo essersi rimesso in piedi, Carlo spiega tutto a Caterina e Rodolfo. Parla di Margaret e dell'uomo che sembra aver rapito Aurora. "Quel che è certo - esclama ad alta voce, finite le spiegazioni ai figli - è che questa donna non è un fantasma e qualche spiegazione ce la deve".
Carlo afferra la donna, che era rimasta a terra dolorante, la smacca su una sedia in salotto e si mette in piedi davanti a lei, con di fianco i due figli e Rodolfo.
"Preferisci una denuncia per aggressione a mano armata o ci facciamo due chiacchiere?" esclama Carlo ad alta voce. La donna esita ma, ancora dolorante e sotto minaccia, decide di parlare. "Ho dovuto...ho dovuto inscenare la mia morte. Tre mesi fa. Loro mi stavano col fiato sul collo da mesi e ho capito che l'unico modo per salvarmi era fingere che fossi morta e partire. Sono tornata qua la settimana scorsa".
"Loro chi?", domanda Rodolfo. La donna esita ancora. In lei non c'è più alcuna traccia della sicurezza delle altre volte, e men che meno l'aggressività di dieci minuti prima. "Da trent'anni dirigo un'organizzazione illegale di gioco d'azzardo in tutta la zona. Ci sono decine di locali e bar in tutta la regione che la notte organizzano bische clandestine. Io e alcuni miei amici, da sempre appassionati di gioco d'azzardo, abbiamo cominciato questa attività per divertimento. Siccome ho alcuni amici oltre confine appassionati di gioco d'azzardo che all'epoca non avevano casinò nei dintorni, abbiamo parlato con i proprietari di alcuni locali qui in regione dicendo che potevamo procurar loro parecchi giocatori. Per il primo anno, la cosa è stata molto limitata. Mensilmente, i miei amici - una cinquantina di persone - si organizzavano e passavano una serata a giocare, dividendosi tra i quattro locali che all'epoca aderirono alla nostra iniziativa e pagando un piccolo tributo ai gestori. Ma con il passare del tempo, neanch'io so bene come, la cosa si è espansa. I giocatori sono diventati centinaia, la voce si è sparsa e ricevevo quasi ogni settimana una chiamata da un gestore di qualche locale diverso che per arrotondare lo stipendio ci offriva nuovi bar dove inviare i giocatori. Molte volte la polizia è stata sul punto di scoprirci ma ce la siamo sempre cavata, guadagnandoci un po' di soldi ma anche divertendoci. Una giocatrice in particolare si è trovata coinvolta nel giro più che mai, diversi anni fa. Non era di qua ma veniva spesso a giocare, e si era affezionata alla nostra casa di gioco più particolare: La casa delle cipolle".
"Cosa?", urlarono all'unisono Rodolfo e Caterina. "Sì, per alcuni anni anche la vostra attuale abitazione è stata un luogo di gioco. Ma lì le cose erano diverse: si giocava con i rubli, perché il proprietario di allora era un eccentrico russo, che si innamorò di questa giocatrice: vostra madre!".
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