Qulla firma vergata da Carlo VI accese il motore del capitalismo di tutta l’Europa centrale

I benefici dell’apertura del canale di Suez fecero dell’Impero d’Austria una felice isola di libero scambio, ma durò fino agli albori del Novecento, poi scoppiò la guerra

Quando Carlo VI il 18 marzo 1719 emanò il provvedimento che dichiarava «temporaneamente» porti franchi Trieste e Fiume iniziò una nuova era non solo della storia di Trieste, ma in verità di tutto l’Impero degli Asburgo. Trieste, come ci ricordava l’indimenticabile Maestro Elio Apih. iniziò ad essere quella potente e piena di vita città imperiale e marittima che sarebbe divenuta con la trasformazione delle ragioni di scambio nel commercio internazionale. Fiume fu privata di quella stessa prerogativa per l’azione di potenti forze aristocratiche cittadine e quando, alla morte di Carlo VI, nel 1740, salì al trono Maria Teresa s’iniziò a favorire con più forza l’afflusso di capitali a Trieste. Ma la città cambio ancora e indefettibilmente, il suo volto con la costruzione del cosiddetto Porto Vecchio iniziata nel 1869, durante il regno di Francesco Giuseppe, e terminata nel 1883 per raccogliere tutte le potenzialità rese manifeste dal Canale di Suez.

Ma è necessario ricordare che le ragioni che mossero Carlo VI e ancor più Maria Teresa a istituire il Porto Franco furono di natura geopolitica. È la politica estera e l’equilibrio di potenza mondiale che segna i destini di Trieste per essere al displuvio tra le popolazioni slave del Sud e le terre italiche storicamente contese per secoli tra Venezia, l’Impero degli Asburgo e la pressione solo recentemente forte di una statualità propria degli slavi del Sud. E questo perché, come ci ricordò Francois Feitò, citando Friedrich Ebbel nel Suo capolavoro che è una pietra miliare (Requiem per un Impero defunto. La distruzione dell’Austria Ungheria): «Dies Osterreich ist eine kleine Welt in der die grosse ihre Probe halt» (L’Austria è un piccolo mondo che serve da banco di prova a quello grande) Trieste con il Porto Franco diveniva il sismografo dei conflitti di potenza internazionali che trovano e trovarono nel commercio il motore scatenante tanto delle entente cordiales quanto dei conflitti tra nazioni. Il periodo di crescita di Trieste, per iniziare, dovette fondarsi sull’eliminazione del ruolo dominante di Venezia nell’Adriatico e nei commerci che da secoli e secoli fanno del Mediterraneo un lago atlantico e, dopo il Canale di Suez, un lago dell’Oceano indiano e quindi del Pacifico, come dimostra oggi l’aggressività cinese che giunge a conquistare il Pireo e a minacciare Trieste.

Non a caso il Porto Franco prende vita e diviene un motore pulsante del capitalismo in tutta l’Europa Centrale dopo la seconda metà dell’Ottocento. Trieste punto archetipale della crescita del suo hinterland, dunque, perché che i porti senza Hinterland come ci ricordava il grande Halford John Mackinder sono gusci vuoti o, peggio, cul de sac che intisichiscono piuttosto che sviluppare le città e gli insediamenti antropici che a essi danno vita. L’impero plurinazionale fu l’ambiente ideale di un tale progetto e la prova di ciò fu la sua decadenza allorché l’Impero fu distrutto dalla violenza imperiale francese e dal crollo della potenza tedesca dopo Versailles alla fine della Prima Guerra Mondiale.

Tra le due guerre Trieste visse della snazionalizzazione violenta e insieme tecnicamente raffinata della sua economia per mano di un capitalismo italiano tutto raccolto attorno alle sue banche paradossalmente di origine tedesca e alle sue assicurazioni di ben diversa culturale manageriale e politica, e poi – dopo la creazione geniale dell’Imi e dell’Iri – dell’impresa pubblica italiana, che fece scuola nel mondo e che trovò nella elite triestina alcuni dei suoi più validi interpreti che consentirono il trapasso di quell’immensa forza dal fascismo alla repubblica.

I nodi dei flussi commerciali erano a Suez e a Trieste: gli anelli dove le merci trovavano la loro valorizzazione capitalistica lasciando parte del plus-valore nella piazza di Trieste erano le nazioni economiche di un impero che era uno straordinario Zollverein: un’isola di libero scambio formidabile. È quest’isola che fu sommersa con l’avvento della rivoluzione russa del 1917 prima e con il Trattato di Yalta del 1945 con l‘annessione di quelle nazioni nel Comecon sovietico. Una lunghissima erosione del disegno imperiale si compiva: dalla contrazione del dominio veneziano all’intersezione nei flussi mondiali del capitalismo dispegato nell’Europa Centrale. Gran parte delle elite triestine bancarie e soprattutto assicurative avevano avuto nel traffico portuale e nella potenza delle relazioni internazionali che da esso promanava la forza propulsiva che li pose prima al centro dell’Impero e poi del fascismo in cui esercitarono un ruolo assai più determinante di quanto non si pensi

Trieste, con la guerra fredda e l’inasprirsi del conflitto con la Iugoslavia di Tito che aveva compiuto gli orribili massacri delle foibe, Trieste fatica nel secondo dopoguerra a riacquistare quel suo economico ruolo, che gli eventi tra le due guerre mondiali avevano di già declassato.

Il problema rimaneva il rapporto con l’hinterland che il mondo sovietico prima e la mancanza di una visione avveduta di politica estera che sapesse conquistare il principio di maggioranza che governa le poliarchia democratiche, impedirono di realizzare. Fatale fu la sconfitta, certo democratica ma pur sempre penosissima dell’unica idea che emerse nel secondo dopoguerra che avesse nel Porto di Trieste e nel suo destino il punto archetipale: il Trattato di Osimo del 1975.

Esso, infatti, sanciva la separazione territoriale venutasi a creare nel Territorio Libero di Trieste a seguito del Memorandum di Londra del 1954, rendendo definitive le frontiere fra l’Italia e l’allora Jugoslavia, con la cessione alla Jugoslavia di gran parte della Venezia Giulia: Fiume e le isole del Quarnaro, la quasi totalità dell’Istria e gli altopiani carsici a est e nord-est di Gorizia. Questa sorta di “pacificazione” avrebbe dovuto dar vita a una grande opera di trasporto intermodale sull’altopiano carsico che avrebbe aperto al Porto triestino una nuova possibilità proiettandone il destino nell’hinterland di un sistema di stati che si avviava a svincolarsi dall’oppressione sovietica e a ridare un nuovo ruolo alle economie dell’Europa Centrale contendendole con le tentazioni anseatiche e scandinave e baltiche. Ma il Trattato non trovò applicazione per la rivolta politica della maggioranza della popolazione triestina e degli esuli istriani che hanno sempre sostenuto di essere stati abbandonati dall’Italia dopo l’annessione delle terre italiane da parte della Iugoslavia. Nasceva anche un ambientalismo isterico che si è sviluppato in forma dilagante recentemente e che trova in Trieste la sua culla natale: le infrastrutture sempre sono un costrutto simbolico prima che materiale. Senza il consenso e la cultura della produzione esse non possono inverarsi, quali che siano le cautele di sostenibilità ch’esse possono realizzare. Trieste e il suo porto anticipano i problemi dell’oggi. Ancora una volta Trieste e il suo porto erano ricacciati ai margini di un hinterland che invece doveva esserne il centro propulsore. Non a caso si ritornò a Carlo VI con l’ascesa del porto di Fiume che minacciò e minaccia sempre il ruolo di Trieste in un susseguirsi di relazioni interportuali mai stabili come invece si vorrebbe per consentire il dispiegamento delle opportunità triestine.

La storia tormentata che Trieste e il suo porto hanno vissuto nei tre secoli che vanno dal Settecento a oggi è stata il proseguimento naturale di una vicenda storica indissolubile dalla straordinaria temperie culturale in cui da sempre la città è vissuta. Punto d’incontro e d’interscambio tra realtà molteplici, città di confine e multinazionale come poche, Trieste ha assorbito profondamente nel corso del secolo diciannovesimo la cultura irredentista italiana, ma ha al tempo stesso continuato a essere una realtà economica e commerciale perfettamente inserita nel tessuto multietnico dell’impero asburgico. Ed è proprio in questa tensione tra il piano della cultura e del sentimento politico da un lato e quello della realtà economica dall’altro che si identifica la genesi di una crisi che divenne esplicita ai termine del primo conflitto mondiale e che oggi non ha ancora trovato un compimento.

La conclamata liberazione di Trieste dai ceppi austriacanti, secondo i nuovi gruppi dirigenti nazionali, avrebbe dovuto dischiudere alla città un luminoso futuro. Dopo il mondo della Trieste imperiale, le vicende portuali contrassegnano tutte le tappe piene di ostacoli di un successo annunciato e mai pienamente colto dopo il crollo dell’Impero: dall’italianizzazione delle banche straniere operanti in città, al crollo delle fortune delle grandi famiglie, dal declino sempre più drastico del sistema portuale che vorrebbe ora ritrovare nel confronto con una aggressività cinese priva di futuro ma foriera sempre di attacchi al legame atlantico di Trieste. E questo perché Trieste è più che mai città europea. Dalla creazione di un governo «politico» dell’economia dagli anni trenta a quelli novanta del Novecento (con la sua eliminazione per via delle privatizzazioni che ancora oggi si susseguono) alla persecuzione degli ebrei, con la cui dispersione e massacro, Trieste perdette risorse economiche e intellettuali insostituibili.

Le vicende geopolitiche e culturali prima che economiche si riflettono in tutte sulle vicende del porto e della “sua”città. Solo recentemente, con la riforma del 2016 delle autorità indipendenti che sovraintendono alla portualità italiana, l’economia triestina intravede una via di riscatto e di rinnovamento, nonostante l’innegabile crisi economica generale che ha attraversato e che nuovamente si addensa per la deflazione europea secolare e la recessione internazionale che prima di ogni altra cosa colpisce, con la produttività del lavoro, il commercio mondiale.

Il mutare della situazione diplomatica ed economica internazionale, con le difficoltà tra cui si stanno costituendo nuove élites politiche e imprenditoriali in tutto il mondo, sono l’emblematico intreccio dei problemi che connotano la Trieste di oggi e che connoteranno quella di domani. –

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