Quelle sue prime parole: «Venite, le ho uccise»

Le ore drammatiche: dalla telefonata alla questura ai «non ricordo» davanti al magistrato
Abdelhadi Lahmar, a destra, scortato dagli agenti (foto Missinato)
Abdelhadi Lahmar, a destra, scortato dagli agenti (foto Missinato)

«Ho ucciso mia moglie e mia figlia, venite qui». Alle 2.50 di mercoledì la telefonata dalla cucina di casa di Abdelhadi Lahmar, 39 anni, al 112. Cinque minuti dopo, al civico 22 di via San Vito c’erano due equipaggi delle squadre volanti della questura. Se il marocchino, davanti al pubblico ministero Federico Facchin, in questura, ha detto di non ricordare nulla di quanto accaduto - «la sera abbiamo cenato insieme, ci siamo coricati, poi mi sono svegliato nel corso della notte e ho visto tutto quello e non capivo».

Quella sera, subito dopo il delitto – che il medico legale stabilisce essere avvenuto alle 2.30 – al telefono con i carabinieri avrebbe ammesso subito. Poi si sarebbe cambiato e avrebbe atteso le forze dell’ordine fuori di casa, seduto sugli scalini. Una telefonata, quella registrata dalla sala operativa del 112, valida ai fini della formazione dei gravi indizi di colpevolezza.

In questura, l’uomo, non ha ammesso di avere compiuto il duplice efferato omicidio. «Abbiamo cenato, ci siamo coricati verso le 23. Poi mi sono alzato e ho visto sangue dappertutto». Blackout totale, un cortocircuito mentale. «Non ricordo nulla, non so cosa sia successo», ha ripetuto agli inquirenti e al pubblico ministero. Ha parlato in italiano, a tratti con l’ausilio di un interprete, in modo tutto sommato tranquillo. Non si è avvalso della facoltà di non rispondere: «Non mi ricordo proprio cosa sia accaduto», ha detto con tono calmo. «Quando mi sono reso conto di ciò che avevo visto - la moglie morta a colpi di accetta in camera da letto, la figlioletta sgozzata nel sonno e coperta da un lenzuolo nella sua stanza, ndr - ho chiamato i carabinieri».

Abdelhadi Lahmar è nel carcere di Pordenone, sezione detenuti comuni, in cella con un connazionale, guardato a vista. Domani comparirà davanti al giudice per le indagini preliminari Alberto Rossi per l’interrogatorio di garanzia e l’udienza di convalida dell’arresto. Sarà assistito dall’avvocato Gianluca Liut, che ieri ha partecipato all’esame autoptico, non avendo nominato consulenti di parte.

Il pm ha chiesto l’esame medico, che si terrà oggi in carcere alle 13, per accertare se il 39enne avesse assunto farmaci e quali. Mezzora dopo, il sopralluogo nell’abitazione, un accesso chiesto dal difensore per verificare se esistano davvero quei documenti sanitari sulle condizioni di salute del suo assistito ed eventualmente anche i farmaci che avrebbe assunto quale terapia legata a patologie psicologiche. Abdelhadi Lahmar sostiene di essersi sottoposto a tre visite psichiatriche durante la permanenza in Marocco. Tra i reperti sequestrati, quei certificati non ci sono.
 

Argomenti:omicidiodelitto

Riproduzione riservata © Il Piccolo