Quell’antico bagno da sempre fa i conti con mareggiate, navi e fiumi sotterranei

Il maggior periodo di gloria tra il 1940 e il 1950 fra cabine, spogliatoi, buffet e o spazio nuotatori di mille metri quadrati

Zeno Saracino
L'antica diga: l’inconfondibile sagoma nel golfo di Trieste. Foto Lasorte
L'antica diga: l’inconfondibile sagoma nel golfo di Trieste. Foto Lasorte

TRIESTE La posizione della diga foranea del Porto Vecchio, a breve distanza dalle Rive e dalla Trieste “borghese”, solleticò fin dai primi anni l’interesse di amanti del mare e sportivi. Risale già al 1890 una prima costruzione in muratura, dalle forme medievali caratteristiche del gotico quadrato, collocato all’estremità della diga prospiciente il molo San Carlo, oggi Audace. La società austriaca dei canottieri Eintracht la utilizzava come sede, similmente a quanto avveniva con le altre associazioni del periodo, attive ad esempio nei “bagni galleggianti” o il Faro della Lanterna.

Quelle quattro dighe che proteggono i Porti Vecchio e Nuovo di Trieste
Le dighe di Trieste (fotoservizio Andrea Lasorte) con alcune immagini storiche e di archivio

L’interesse nautico divenne presto balneare quando il 29 novembre 1904 l’imprenditore Alessandro Cesare depositò l’istanza per la costruzione di uno stabilimento. Inaugurato nell’estate del 1905 il primo bagno si ergeva con una struttura di legno e ferro su 240 metri della diga, tutto rivolto verso il mare onde non ostacolare il passaggio delle navi. Il trasporto era autorizzato solo con specifiche barcacce a vapore.

Dopo la prima guerra mondiale il bagno passò per un breve periodo a Carlo Kozzmann, prima di tornare nel 1920 alla famiglia Cesare. Un anno dopo, l’11 giugno, si autorizzò un secondo bagno rivolto all’Amministrazione Marittima che necessitava di uno scalo vicino e facile da raggiungere per un “tocio”. Nell’occasione si realizzarono le cabine, un locale per il guardiano dove riporre gli oggetti di valore e si rinvenne un vecchio motoscafo governativo per il trasporto degli impiegati. Il successo di questo secondo bagno travalicò presto le aspettative: ogni estate migliaia di triestini si recavano alla diga e il servizio d’ordine delle guardie municipali, lontani dalle Rive, era pressoché impossibile. Molti bagnanti amavano nuotare verso i piroscafi e lasciarsi poi cullare dalle onde del motore; altri ancora obbligavano le navi dirette nella rada a complicate manovre nel canale tra la diga e i moli.

Nonostante il successo dell’iniziativa la Capitaneria di porto optò allora per la revoca della concessione, accordata appena nel 1923 all’imprenditore Guglielmo Dumeau. Il nuovo bagno presentava la novità di alcune vasche antistanti la scogliera e recuperava contemporaneamente i ruderi del vecchio bagno Cesare. Le aree riservate ai nuotatori erano delimitate con gavitelli e pali galleggianti; la terraferma invece presentava 150 metri di struttura, consistenti negli spogliatoi ricavati dal cassero di poppa di un piroscafo in ferro e da un edificio demaniale dato in concessione. Considerando la distanza dalla terraferma, la Capitaneria aveva inoltre imposto la presenza di un battello guidato da un marittimo esperto nel nuoto e nella respirazione artificiale; e sempre a bordo della barca c’erano inoltre due salvagenti e diverse cinture di salvataggio.

L’affare proseguì con una nuova concessione nel 1937, con il nuovo proprietario Antonio Bressanutti che fu il primo ad avere la concessione rinnovata dalla Capitaneria ogni nove anni e infine trasmessa agli eredi Carlo, Ferruccio e infine Giuseppe. Il bagno alla diga visse così, tra il 1940 e il 1950, il suo periodo di maggiore gloria: aveva tante cabine, spogliatoi, un buffet e uno spazio per i nuotatori fino a 1.000 metri quadri.

Il peggioramento graduale dello stato delle infrastrutture portò infine, negli anni Sessanta, alla sua chiusura, col passaggio di quanto restava del bagno all’Ente Autonomo del porto di Trieste.

Appare allora evidente come non si possa scrivere di “un” bagno alla diga, perché si sono susseguiti in un secolo diverse strutture di volta in volta riciclate o abbattute dalla mareggiate. La mareggiata dell’autunno 2023 riecheggia simili eventi susseguiti durante tutto il Novecento: già con la tempesta del 1911 lo stabilimento di Cesare venne distrutto per la prima volta. Si pone qui un doppio paradosso: la diga foranea ha la funzione di “resistere” all’urto delle maree e come tale non può avere, alla sua sommità, strutture fragili.

E nel contempo proprio lo stabilimento balneare rappresenta l’esempio di una struttura “vulnerabile”, specie per la presenza delle vecchie cabine. Inoltre la diga, per la sua stessa natura di manufatto portuale, si pone in un’area utilizzata dalle navi e posta alle foci dei torrenti che scorrono sotto il Porto Vecchio, rispettivamente il Klutsch o Chiave e il Martesin. Si tratta di torrenti che funzionano anche quali fogne cittadine, imitati in ciò dagli scarichi dei liquami dalle navi di passaggio; considerando la natura portuale della zona, appare allora difficile immaginare una qualità dell’acqua adeguata agli standard moderni. Ma se ne riparlerà davanti al progetto di riqualificazione di un pezzo di città che, dopo alterne fortune, la Lega Navale vorrebbe riqualificare.

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