«Quella notte non c’ero solo io». Parla don Paolo Piccoli, il prete che vive nella Casa del clero

«Qui viene a dormire tanta gente...», spiega il religioso. A Trieste è ancora mistero sulla morte di monsignor Giuseppe Rocco
La Casa del clero di via Besenghi (Foto Lasorte)
La Casa del clero di via Besenghi (Foto Lasorte)

«Qui non c’ero solo io...» Don Paolo Piccoli è uno dei due testimoni-chiave dell’omicidio di don Giuseppe Rocco, trovato morto nella propria camera della Casa del clero in via Besenghi la mattina del 25 aprile attorno alle 7 e 30. Anche lui è accorso nella stanza e, dopo l’intervento del 118, avrebbe benedetto il corpo. Questo stando ai racconti di Eleonora Dibitonto, l’assistente personale di don Rocco che per prima aveva scoperto la salma a terra dando l’allarme. Finora si era pensato che all’interno dell’abitazione o nei paraggi ci fossero, in quelle ore, solo il sacerdote ucciso, la badante e don Paolo. Difficile immaginare qualcuno dall’esterno, tanto più che il cancello che dà su via Besenghi era chiuso. Lo dimostra il fatto che la donna per far entrare l’ambulanza ha dovuto usare il telecomando.
È proprio don Paolo, veronese e già in servizio all’Aquila, a fornire un’altra ricostruzione. Preferirebbe restare nel silenzio, il sacerdote. «Non posso dire niente», dice affacciandosi dalla sua finestra. Poi qualcosa spiega. «Qui arriva sempre gente, infatti tengo con me un pastore tedesco». Che ieri non c’era, ma sulle pareti ci sono almeno due cartelli “attenti al cane”. «Quella notte e quella mattina non c’ero soltanto io qua, ne sono certo – ripete – però non so chi. Da queste parti c’è un centro di volontariato, la sede di Vita Nuova, Telequattro e poi qualche professore». Il sacerdote si riferisce al via vai abituale dell’ex seminario, la struttura a fianco.

«Ho ricevuto minacce di morte dopo l’uccisione di don Rocco»
Don Giuseppe Rocco (in prima fila al centro) in una foto scattata sette giorni prima della morte


Ma nella Casa del clero, dove è avvenuto il delitto, c’erano lui e la badante, che però non dorme là, o altri? «C’è sempre gente... - ribadisce – abitano don Pietro Zovatto, un altro ragazzo che mi pare si chiami Cristian, un infermiere della casa Ieralla e poi viene a dormire un giornalista della tv». È stato accertato, si chiama Ferdinando Avarino, ha 34 anni ed è stato già sentito dagli inquirenti. Non è di Trieste e utilizza la foresteria come appoggio notturno dopo le trasmissioni. La redazione di Telequattro, d’altronde, è nel palazzo a fianco. La mattina dell’omicidio era lì, dormiva in una stanza nello stesso piano di don Rocco. «La sera prima – racconta – avevo condotto “Ring”, eravamo in piena campagna elettorale, ero stanco. In genere vado in stanza verso l’una e mezzo, dopo essere stato a cena con gli ospiti della puntata. Intorno le otto, quando ancora ero nel dormiveglia, ho sentito un trambusto. Una signora che piangeva e altra gente intorno. C’era un anziano per terra ma, visto che c’era il 118, non mi sono messo a curiosare. Don Rocco non lo conoscevo, l’avrò incrociato un paio di volte con un saluto... Comunque poi dalle verifiche in redazione ho saputo che il sacerdote era morto per cause naturali». Invece no, don Rocco sarebbe stato strangolato da qualcuno. «Ah sì?», riflette il giornalista. «Ancora nel dormiveglia mi pare di aver sentito altre voci, come di qualcuno fuori che si stesse preparando per andare in gita ma non ci ho fatto caso».
Non è chiaro, ad oggi, se nella Casa del clero ci fossero altre persone. Don Paolo Piccoli non lo sa. «Qui è un continuo viavai...»
Tuttavia su un particolare è preciso. Ricorda di una telefonata fatta la sera prima, ben quattro mesi fa. «Prima di coricarmi e di prendere le medicine – afferma – avevo sentito un vescovo delle mie parti». A un certo punto il sacerdote interrompe la conversazione. Sono le 18 e 45, don Paolo stava guardando un tg. Alla Casa del clero, ieri in quel momento, c’era solo lui.
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