Quel rimpianto dell’Austria per il “suo” Porto perduto

I ricordi “triestini” del passato imperiale. Ora interessa il recupero dell’antico scalo

*presidente Fondazione Klimt ex direttore Leopold Museum Vienna

A Vienna non c’è solo una Triester Strasse e un Hotel Trieste, la città piuttosto si configura nella mente degli austriaci come una seducente destinazione da vacanza breve, ma anche come un luogo di malinconia e memoria collegata al retaggio del porto dell’ex monarchia. Un “sogno del Sud” che torna d’attualità dopo un turbolento Ventesimo secolo. Chiunque voglia capire questa città, deve conoscere la sua struttura socio-economica nel periodo di sconvolgimenti intorno al 1900 e l’eterno fascino che ha esercitato su architetti, pittori e scrittori austriaci. Simbolo di tutto ciò è il “Triestiner Fischboot”, opera di Egon Schiele venduta all’asta da Sotheby’s a Londra pochi giorni fa per oltre 10, 5 milioni di euro.

pensieri divergenti nel’900

Nel 1909, lo scrittore e drammaturgo austriaco Hermann Bahr scrive: «Trieste conduce un’esistenza controvoglia. In questa città, ciò che è non dovrebbe essere. Trieste si difende contro l’apparenza a cui è costretta. Eppure qui lo Stato austriaco soddisfa ogni esigenza e chiede: diventate nostri buoni cittadini, così poi lo Stato farà qualcosa per voi! Invece la gente pensa: che sia lo Stato a fare prima qualcosa che ci induca davvero a essere buoni cittadini. Un patriota è chiunque si senta così a proprio agio in un certo regime, così da non volerlo scambiare con nessun altro. Lo Stato austriaco non si fida dei triestini, i triestini non si fidano dello Stato...».

Le osservazioni di Bahr sono oggi difficilmente comprensibili soprattutto se si soppesa, col senno di poi, lo sviluppo economico della città in quel periodo. I regnanti asburgici non erano forse sufficientemente generosi? Non fecero forse di Trieste un porto franco e non ne sostennero l’economia? Non c’era forse tolleranza e diversità multiculturale in uno Stato multietnico?

Nel 1910, solo circa il 23% del totale degli abitanti della monarchia austro-ungarica era di lingua tedesca. Il ceppo degli italofoni era il meno numeroso, con appena l’1, 5%.

All’interno della monarchia Trieste era lo specchio della situazione politica generale, contrassegnata da conflitti nell’ambito dei nazionalismi e dall’incapacità di Vienna di affrontare e risolvere questi contrasti. Aleggiava lo spettro dell’irredentismo, che dava segni di sé sin dal 1848. Vienna affrontò spesso questi moti utilizzando un misto di rappresaglie e di indifferenza. In Austria era consolidata l’idea che la cultura tedesca fosse quella dominante e gli austriaci di lingua tedesca l’élite statale.

Negli ultimi anni della monarchia, anche gli italiani di Trieste temevano più le ambizioni slovene che il controllo austriaco, in quanto si prospettava concreta la possibilità di un’annessione della città a un ipotetico Stato slavo del Sud a seguito della disgregazione dell’Impero. Gli sloveni dominavano la periferia di Trieste e anche in città la loro quota di popolazione aumentava costantemente. Tanto da far sperar loro che Trieste fosse ormai quasi una loro capitale segreta, incastonata in territorio slavo. Scipio Slataper (1888-1915) descrive bene la contraddizione in cui si trova la maggioranza degli italiani a Trieste: «Da un lato hanno sviluppato una coscienza nazionale italiana decisa e definita, dall’altra sono loro stessi beneficiari del boom economico dovuto al commercio fiorente con l’entroterra asburgico. Divisa tra Italia e Austria, tra spirito e profitto, la città era soggetta a continue tensioni».

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Il collegamento ferroviario Vienna –Trieste del k. k. Südliche Staatsbahn esisteva già dal 1857, e forniva l’interconnessione con la zona industriale Moravia-Slesia. Nel 1883 fu inaugurata la stazione centrale di Trieste. Altri efficienti collegamenti con l’entroterra mitteleuropeo e germanico vennero realizzati negli anni successivi. Questo fece sì che Trieste divenisse frequente meta di turisti tedeschi e austriaci, compresi molti artisti che regolarmente trascorrevano lunghi periodi sulla costa adriatica.

È documentato che Emil Jakob Schindler, Gustav Klimt ed Egon Schiele soggiornarono numerose volte a Trieste, tanto da esserne ispirati per opere poi portate nella loro città natale, Vienna. Gustav Klimt scrive ai suoi genitori a Vienna il 3 giugno 1890: «Cari genitori! Ieri abbiamo avuto una giornata meravigliosa, che abbiamo goduto appieno. Al mattino abbiamo visitato la chiesa di San Giusto e i suoi vecchi mosaici, poi abbiamo fatto un giro in mare, abbiamo visto un grande vaporetto del Lloyd, siamo saliti in cima alla lanterna. Nel pomeriggio eccoci a Miramare, meravigliosamente bello. Poi ancora una gita: siamo saliti attraverso il Boschetto al Cacciatore, un posto davvero eccezionale…».

All’inizio del maggio 1912 Egon Schiele scrisse al suo amico, il pittore Anton Peschka, dall’Excelsior Palace Hotel Trieste: «È urgente che tu veda finalmente Trieste! Qui potresti realizzare al volo una mostra, ci sono le persone più varie e pubblico internazionale. Tu e io potremmo fare assieme questa mostra. Sono seduto al piano di sopra nella caffetteria di questo nuovo grande hotel, davanti al molo che brulica di colori puri e nobili, pittorici: colossali! – Cordiali saluti. Egon».

Egon Schiele poi ha descritto uno dei suoi dipinti a olio più celebri in una lettera al critico d’arte Arthur Roessler, datata 7 settembre 1913, utilizzando l’immagine del “sole che cade nel mare di Trieste”. Il simbolismo del “sole che affonda”, un anno prima dello scoppio della Grande Guerra, testimonia transitorietà, disperazione e malinconia.

L’elenco di artisti che hanno avuto la stessa esperienza di Schiele è lungo. Josef Maria Auchentaller frequentava la vicina Grado. Come i suoi colleghi del gruppo Neukunst Egon Schiele o Erwin Dominik Osen, il pittore Rudolf Kalvach rimase colpito dal porto di Trieste. Kalvach, il cui padre era un macchinista sulla tratta Vienna-Trieste, viaggiava con lui due volte a settimana. Sposò la tirolese Maria Klarer nel 1908. Il matrimonio generò cinque bambini, tutti nati a Trieste.

Qui il giovane artista scoprì l’eccitazione del porto, che lo occupò intensamente tra il 1907 e il 1909. Kalvach ha realizzato 16 vivaci rappresentazioni del lavoro nello scalo con la tecnica della xilografia. Le stampe ci fanno vedere quanto accadeva nel più grande porto della monarchia: il carico e lo scarico delle navi a vapore e il lavoro instancabile degli equipaggi, il volo dei gabbiani, corde e riflessi d’acqua.

bagno alternativo di storia

Nel novembre 1918 il giornale Vienna Neue Freie Presse ha dedicato alla perdita di Trieste diverse pagine. L’autore degli articoli non poteva credere a quanto era accaduto: «Ecco perché Trieste non può assolutamente essere persa. La città affonderebbe se non avesse più alcun rapporto con l’entroterra austriaco. Il sentimento di una guerra persa non è mai stato così doloroso come lo è oggi. Dopo questo evento, la guerra mondiale ha perso il suo ultimo significato per noi austriaci».

Tale emblematica “lamentazione” per la perdita di Trieste, per molto tempo radicata nella popolazione austriaca, si risolse soltanto nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale. Ma a tutt’oggi in Austria si avverte ancora una certa eco del passato sotto forma di legame speciale con Trieste. Né il re Vittorio Emanuele, né i dittatori Mussolini, Hitler e Tito hanno dato alla città una prospettiva. Solo l’ipotesi (mai realizzata) del Territorio Libero di Trieste emersa durante l’amministrazione anglo-americana e il ritorno della città in un’Italia democratica ha contribuito a calmare i marosi della storia e a contribuire a una lenta ripresa economica.

Oggi Trieste può vantare il più grande porto dell’Adriatico, eppure non si può non notare l’enorme area dismessa e arrugginita del Porto vecchio che incombe sulla città. Si tratta di una testimonianza unica della trascorsa importante storia economica del territorio. Quei 60 ettari ancora largamente inutilizzati rappresentano una risorsa enorme nell’ottica di un recupero post-industriale. A Vienna tali edifici in abbandono sono stati rivitalizzati già da decenni e riproposti con successo per uso residenziale, culturale e commerciale. Noi austriaci seguiamo con attenzione i piani sul rilancio del Porto vecchio, mentre già apprezziamo la ristrutturazione del centro storico, che viene paragonato a una “Vienna sul mare”. E abbiamo appreso con compiaciuto stupore della recente ricollocazione delle statue di Massimiliano ed Elisabetta, e più recentemente degli sforzi per la realizzazione di un monumento a Maria Teresa.

sguardo al futuro

Proprio come Trieste, nel 1918 anche Vienna e l’Austria ruppero con il passato asburgico. Oggi la nuova frontiera è il turismo. Il corso parallelo, e forse presto comune, delle due città è innegabile e dovrebbe giocare un ruolo ancora più importante in futuro. –

*presidente Fondazione Klimt

ex direttore Leopold Museum Vienna

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